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Amore d'arte
Uso di immagini d'arte in psicoterapia di coppia ad orientamento sistemico-relazionale
di Conny Leporatti


Dott.ssa Conny Leporatti
Psicologa, Psicoterapeuta, Consulente Tecnico del Tribunale di Firenze, Direttrice Centro Co.Me.Te. di Empoli.
Il presente lavoro è stato pubblicato sulla rivista "Storie e Geografie Familiari", Scione Editore Roma, n: 4-5, Settembre 2010, Pag. 191-214.


Amore d'arte
Uso di immagini d'arte in psicoterapia di coppia ad orientamento sistemico-relazionale

Immagini d'arte e clinica di coppia
"Farai le figure in tale atto il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell'animo;
altrimenti la tua arte non sarà laudabile
".
(Leonardo da Vinci, Libro della pittura)
La fisiognomica è arte antica, che ha conosciuto una costante evoluzione da Aristotele ai giorni nostri ma è con Leonardo da Vinci che essa entra nell'epoca moderna. Lo studio dei moti dell'animo da lui compiuto a partire dai tratti del volto, anticipa ed accompagna da un lato lo sviluppo della psicologia, dall'altro il lavoro di studio e di ricerca compiuto dai pittori nel corso della storia dell'arte occidentale. C'è un quadro che segna un'epoca, dipinto cinque anni prima degli studi di Freud sull'isteria, dieci anni prima dell'uscita dell'"Interpretazione dei sogni": "Il ritratto del dottor Gachet" di Van Gogh, eseguito nel 1890.
Il quadro, come afferma Flavio Caroli, riporta ad un'opera di Dűrer, una stampa in cui l'artista tedesco rappresenta l'immagine canonica della 'melanconia'.
Dai Folli di Gericault, alle devastazioni fisiognomiche di Van Gogh, alla "Interpretazione dei sogni" di Sigmund Freud, arte e psicologia sono così unite da costituire una linea continua che segna il cammino dell'arte fino alle opere di Pollock e Bacon.
Flavio Caroli, profondo conoscitore dell'arte e della fisiognomica, afferma che "l'arte, grazie alla sua enorme potenzialità simbolica, crea, definisce, assorbe e talvolta anticipa i movimenti della civiltà di ogni tempo".
Il lavoro di studio e di ricerca avviato da Leonardo e proseguito nei secoli da pittori da un lato e da medici e filosofi dall'altro, si incontra alla fine del XIX secolo in una serie di produzioni memorabili.
Così, se l'arte anticipa e stimola lo studio e la riflessione sui moti dell'animo umano, perché non tornare all'arte per stimolare, svelare, rendere consapevole l'uomo di tali moti?
L'intento di questo lavoro è quello di stimolare riflessioni intorno all'uso di immagini d'arte in terapia - nello specifico in terapia di coppia - ad orientamento sistemico-relazionale.
Si rende necessaria la definizione della cornice teorica.
Per la definizione di terapia individuale sistemica si rimanda al lavoro di Loriedo, Angiolari, De Francisi, in "Terapia Familiare" n. 31, 1989 ed al lavoro di Boscolo e Bertrado, "Terapia Sistemica Individuale", ed. Cortina, 1996.
Per l'approccio alla definizione di terapia relazionale si rimanda ai lavori di Rodolfo De Bernart in "Terapia Familiare", n. 19, (1985), n. 31 (1989).
Alla cornice teorica relativa alla terapia sistemica si connette la dimensione relazionale: il ruolo svolto dalle relazioni familiari, nella prospettiva indicata da Bowen (1979) nel lavoro "Dalla famiglia all'individuo", la relazione con il sé, con il mondo interno, con l'inconscio ottico, così come definito da Walter Benjamin1 e approfondito nel rapporto con l'arte del 900 da Rosalind Krauss2.
Un ulteriore contributo teorico, implicitamente relativo all'uso delle immagini d'arte in terapia, giunge dal lavoro di Daniel Stern sul momento presente e sull'implicito in psicoterapia e dalle sue riflessioni secondo le quali la grande maggioranza di ciò che conosciamo del nostro rapporto con gli altri, compreso il transfert, è non verbale, non simbolico, non narrato, non cosciente, inconscio ma non rimosso.
Infine, dal punto di vista teorico, l'uso dell'immagine in terapia sistemica viene da lontano, oltre che dalle suggestioni di Bowen (1979), legate al genogramma familiare, dal lavoro di Maurizio Andolfi (1977, 1985), Luigi Onnis (1990) e Philippe Caillè (2005) sulla scultura e dal lavoro di Rodolfo De Bernart (1989) sulle tecniche non verbali, in particolare sul genogramma fotografico, sull'uso del collage e del disegno congiunto.
Nel quadro dei contributi teorici sin qui delineati, è così possibile affermare come in terapia sistemico-relazionale il terapeuta esplori con i pazienti per mezzo dell'immagine il sistema familiare, la relazione con il sé, con il mondo interno e con l'inconscio ottico, usando il suo sé - nella prospettiva indicata da Minuchin (1981) - nella dinamica del sistema coppia-terapeuta e nel «qui e ora» della terapia.

Immagini e terapia
La comunicazione verbale è solitamente più controllabile della comunicazione non verbale. Per questo motivo spesso il canale verbale è saturo di elementi superflui o dispersivi che possono creare, anche involontariamente, barriere alla comunicazione di ciò che sta a cuore al paziente, e di cui spesso egli stesso non ha consapevolezza.
Il terapeuta conduce una ricostruzione tra le dissonanze e le discrepanze tra ciò che i pazienti dicono - l'immagine esterna - e ciò che i pazienti esprimono non verbalmente - l'immagine interna - e da questa ricostruzione il terapeuta crea ipotesi relazionali, il cui livello di accuratezza diventa più evidente con il progredire del processo terapeutico. Come sostiene Catia Giacometti, l'immagine tende a favorire un primo livello di rappresentabilità, stabilendo tra il soggetto e la sua storia relazionale una distanza che favorisce l'ascolto, la pensabilità ed il dialogo. Per mezzo dell'immagine si può avere e dare accesso a mondi interni, non facilmente raggiungibili e spesso difesi dall'uso del canale verbale.
L'immagine è già un modo di dare rappresentabilità a qualcosa che per il soggetto si manifesta a livello di vissuti e di agiti, ed insieme un modo di articolare parti di sé e dell'altro secondo un'elaborazione soggettiva.
Con questi presupposti, ed influenzata dal lavoro e dalle mostre curate da Flavio Caroli dal 1980 ad oggi, ho iniziato dagli anni 90 ad usare immagini d'arte nella clinica, sia individuale, che familiare, che di coppia.

Uso di immagini d'arte in terapia
L'uso che faccio delle immagini d'arte in terapia nasce quasi casualmente, da un'intuizione legata ad una faticosa terapia individuale che segnava il passo da tempo, dall'amore che da sempre mi lega all'arte e dalla formazione personale effettuata presso l'Istituto di Terapia Familiare di Firenze.
Alcuni pazienti hanno notato i cataloghi e me ne hanno chiesto la provenienza; altri no.
Un piovoso pomeriggio di novembre dei primi anni 90, nel corso di una terapia individuale che sembrava essersi inspiegabilmente arrestata senza motivo, come se continuare a parlare non facesse altro che continuare ad erigere mura invalicabili, mentre cercavo un mezzo per by-passare le chiusure e la difesa inconsapevole della paziente, vidi - nel senso di "vedere" - i cataloghi d'arte e pensai di chiedere alla paziente di prenderne alcuni e di sfogliarli, alla ricerca di un'immagine che la rappresentasse.
Inizia così l'uso che faccio delle immagini d'arte in terapia.
Ho continuato nel tempo ad usare le immagini d'arte ed ho definito meglio la procedura.
Ad oggi esse sono riunite in book di 200 immagini, suddivise su 20 categorie. In terapia la mia richiesta è la seguente: "Scelga un'immagine d'arte che sente possa rappresentarla o rappresentare suoi stati d'animo". Lascio che i pazienti sfoglino liberamente e senza fretta i cataloghi disponibili.
Sono disponibili immagini d'arte dall'epoca di Leonardo da Vinci ad oggi, attualmente esposte nei più noti musei del mondo.
Il lavoro successivo alla scelta delle immagini, è un lavoro di connessione tra le immagini scelte, le motivazioni di questa scelta, le emozioni connesse a quelle immagini, l'immagine in relazione con il sé, con il mondo interno, con l'inconscio ottico, con le relazioni familiari, col sistema terapeutico.
La connessione avviene per mezzo di domande circolari che pongo come terapeuta, connettendo le informazioni che i pazienti mi hanno fornito della loro storia con i pattern comunicativi che hanno caratterizzato la narrazione e quanto le immagini scelte suscitano in me, in base alle ipotesi che ho elaborato ed al mio "stare" in terapia, secondo l'uso del mio Sé, della mia storia di terapeuta e della mia formazione.
È evidente quanto è presente in tale prospettiva dell'impostazione di Minuchin relativa al lavoro in formazione sulla persona del terapeuta.
Nelle sedute successive si lavora sulle emozioni conseguenti alle scelte delle immagini compiute e sugli eventi e gli stati emotivi con i quali le immagini entrano in risonanza.
Chiedo prioritariamente all'uno di "leggere" l'immagine scelta dall'altro, che cosa egli ritiene significhi per il proprio partner, quali vissuti di coppia essa attivi, che senso essa abbia nella loro storia relazionale.
Chiedo poi a ciascuno di esprimere per sé stesso qual è l'intento che egli ritiene abbia motivato in lui quella scelta e quanto si è sentito compreso dalla lettura che il partner ha condotto dell'immagine da lui scelta.
Sulla base di quanto esposto, intendo adesso presentare un caso.

Il caso di Elena e Marco
Elena e Marco, rispettivamente 34 e 39 anni, si presentano al mio studio su invio dell'andrologo di lui per un sopraggiunto problema di impotenza; sono sposati da 6 anni e non hanno figli.
Entrambi architetti, lavorano insieme nello studio di lui. Elena si occupa di rapporti con la clientela e di interior designer, Marco di progettistica per l'edilizia.
Lo studio, avviato dal padre di Marco, è un noto studio di architettura. Nello staff figurano diversi altri architetti, mentre il fratello di Marco, Alessandro, maggiore di 6 anni, anch'egli architetto, ha aperto uno studio in proprio.
Nel corso della terapia emergerà che tra i due fratelli, Marco è stato il prescelto dal padre alla successione nella conduzione dello studio di famiglia.
Elena, figlia unica, proviene da una famiglia agiata di commercianti di tessuti. Il padre possiede un lanificio ed è il presidente di una squadra di calcio. Niente architettura in famiglia.
In prima seduta la coppia mi riferisce di un sopraggiunto problema di impotenza, presentatosi da circa 1 anno e mezzo. Entrambi riferiscono che l'uso di supporto farmacologico viene vissuto malamente da tutti e due a tal punto che, dopo qualche tentativo, di comune accordo hanno deciso di rinunciarci e, con il supporto dell'andrologo, hanno deciso di iniziare una psicoterapia.
Nella prima tranches di terapia, lavoriamo sulla storia e l'identità della coppia e sulle rispettive famiglie di origine. In questa fase la raccolta della storia avviene per mezzo del canale verbale. L'attenzione del terapeuta è centrata sui pattern comunicativi e sul linguaggio non verbale, sia del partner che sta parlando, sia del partner che ascolta.
Successivamente, quando ritengo che il canale verbale sia ormai saturo e che la raccolta della storia della coppia sia sufficiente, utilizzo le immagini d'arte. Chiedo ad entrambi di scegliere ciascuno un'immagine che rappresenti la loro coppia.
Marco sceglie Giorgio De Chirico, "Ettore e Andromaca", 1917.
Lascio che le immagini risuonino dentro me, sulla base delle notizie che ho della loro storia, utilizzando il mio Sé, la mia storia di terapeuta, il mio stile relazionale.
Rifletto.
Mi colpiscono la presenza immota e silente dei due manichini, che pur sono abbracciati, lei protesa alla relazione, lui con la testa piegata verso di lei, in atteggiamento di protezione e di ascolto, ma anche di implicito appoggio.
Elena sceglie Giorgio De Chirico, "Gli archeologi", 1966.
Lascio che le immagini risuonino dentro di me.
Mi colpiscono i lunghi busti dei due corpi abbracciati. Quello di lui con una sorta di caverna o di ingresso all'interno, quello di lei con una sorta di tempio, subitanei rimandi ai Lari ed ai Numi familiari. Di nuovo le due teste si toccano, quella di lei appoggiata a quella di lui, le braccia forti di entrambi poggiate rispettivamente l'uno sulla spalla dell'altro e sul sedile, le gambe cortissime ed i piedi, anche in questa immagine, nudi.
Lascio che le immagini stimolino le mie riflessioni, che attivino in me connessioni ed ipotesi, quale terzo sistema nel setting della terapia. Quale terapeuta ho la consapevolezza che tutto ciò che sento e che vedo è frutto della relazione, mi focalizzo quindi sulla capacità di riflessione del Sistema visto come una totalità, sulla possibilità di interrogarmi sulle mie intuizioni, sulle mie ipotesi, sulle mie descrizioni, dando luogo a descrizioni di descrizioni, a storie, a narrazioni che diventano domande e stimolano nei pazienti "altre" storie, storie diverse da quelle che si sono sempre narrati, storie che non hanno mai "visto", se non per mezzo di un'immagine che ha dato corpo ad una possibile "altra" storia.
Successivamente chiedo ad Elena di "leggere" l'immagine scelta da Marco e viceversa.
Elena dice: "Siamo noi, la nostra vita per lo studio e l'architettura, tanti progetti, tanta vita, tante idee, ma poi, di fatto, siamo sempre là dentro".
Marco dice: "Elena ed il suo fare della nostra coppia un tempio, un santuario dal quale escludere tutto e tutti ed io, con un buco nero grande così, che, per quanto mi sforzi, non riesco mai a colmare".
Lavoriamo su quanto emerso, sulle emozioni che sia l'uno che l'altro hanno provato al commento ricevuto dal proprio compagno all'immagine che hanno scelto, sui vissuti che sottendono la scelta di quelle immagini e che senso essi abbiano nella storia relazionale della coppia.
Emerge come Marco si senta costantemente in colpa nei confronti del fratello Alessandro, con il quale ha avuto un buon rapporto fino a quando il padre lo ha scelto al posto del primogenito per la successione nello studio familiare.
I rapporti tra i fratelli si sono rapidamente raffreddati ed allo stato attuale essi non si vedono da più di due anni. Marco dice di non aver fatto abbastanza perché ciò non accadesse.
Riesce a dare voce anche al senso di colpa nei confronti della sua famiglia. Affidare a Marco lo studio ha comportato per i genitori la perdita dei rapporti con il figlio maggiore e Marco sente di non fare mai abbastanza per compensare il padre della fiducia accordatagli e per lenire il dolore ed il vuoto che l'allontanamento di Alessandro ha provocato ai suoi genitori.
Elena, piangendo sommessamente, dice di quanto la famiglia del marito sia costantemente nella vita della loro coppia, come lei non desideri "un tempio" per la loro coppia, ma "semplicemente uno spazio neutro dove essere soltanto noi due, io e te, non architetti, non fratello di... e figlio di..., non stravolti da 12 ore di lavoro in studio perché... non è mai abbastanza".
Lavoriamo insieme sulla lettura incrociata delle scelte delle immagini ed entrambi si dicono di comprendere la condizione e le emozioni dell'altro, ma di non saperne uscire.
Chiedo che scelgano un'immagine che rappresenti come si sentono nella coppia.
Marco sceglie Egon Schiele, "Autoritratto con mano sulla guancia", 1910.
Mi colpisce l'espressione triste, addolorata, quasi disperata dell'uomo, un occhio semichiuso, la testa reclinata su un lato e, non essendo un'immagine di coppia, senza appoggio. Noto la mano poggiata al volto, in un gesto di desolazione, l'altra mano poggiata sul ventre, a protezione, le dita centrali lievemente dischiuse.
Queste sono le mie impressioni. Non sono sempre le stesse con tutti i pazienti anche se l'immagine scelta è la stessa. Le mie impressioni sono legate alla storia dei pazienti ed alla relazione che abbiamo costruito insieme. Le immagini risuonano diversamente dentro di me, così come è sempre diverso il paziente che ho davanti.
Elena sceglie Alberto Savino, "Annunciazione", 1932.
Mi risuona immediatamente il senso di intimità violato, la posizione delle donna sulla sedia, la testa reclinata di lato, le spalle ricurve, le braccia appoggiate in grembo, ma con le mani che non si toccano, lo sguardo fisso, quasi inquisitore dell'uomo alla finestra.
Medito a lungo poi, dando voce a quanto l'immagine ha stimolato in me, chiedo:
"Da quanto tempo suo suocero vuole questo da lei?".
Sento di rischiare molto con questa domanda.
L'intuizione è dovuta alla connessione tra una serie di indicatori che Elena aveva manifestato nel corso del racconto della storia di coppia (impercettibile disagio mentre parlava dello studio del suocero e del suocero, labbra serrate mentre Marco parlava di suo padre, accurato evitamento di parlare del suocero se non su precisa domanda, linguaggio non-verbale di disconferma del valore del suocero come uomo mentre Marco tesseva le lodi come uomo, come padre e come professionista) e quanto è risuonato dentro me alla visione dell'immagine.
Quale uomo può chiedere questo ad Elena? Suo padre?
Elena ha parlato serenamente della sua famiglia di origine e del padre, con linguaggio verbale e non verbale congruo.
Il cognato?
Elena non lo vede da due anni, non ha quasi fatto menzione di lui e quando ne ha parlato lo ha fatto senza disagio.
Un collega?
Ha parlato superficialmente dei colleghi e non ha manifestato alcun imbarazzo o cambiamento emotivo quando ne ha parlato Marco.
Rimane soltanto il suocero, figura che avevo già cercato di indagare nella prima parte della terapia, indagine alla quale Elena aveva fatto resistenza, quasi non volesse dare corso neppure lei ai suoi pensieri. Avevo tenuto per me il "nodo", pensando di tornarci per mezzo dell'uso delle immagini, magari chiedendo di scegliere un'immagine che rappresentasse i rapporti con la famiglia di origine.
Non è stato necessario. La risposta è giunta prima.
Elena scoppia in lacrime e piange a lungo, senza poter parlare. Alla fine, tra i singhiozzi, dice di sentire fortissima la presenza del suocero tra lei e il marito. L'uomo, formale e rispettoso nei rapporti con la nuora, è percepito da Elena come fortemente intrusivo.
Vivo è il disagio che le provoca andare a pranzo dai suoceri e vivo è il disagio che vive quando il suocero viene in studio e le chiede dei suoi lavori. Dice di evitare in ogni modo di rimanere da sola con lui e sente che tutto ciò si ripercuote nel suo approccio con Marco e sull'intimità della coppia.
Marco fatica ad ascoltare, è devastato dai pensieri che gli vengono, alterna momenti in cui vorrebbe un chiarimento con il padre, a momenti in cui chiede ad Elena se è pazza ed a me se sono certa che sua moglie non sia una visionaria.
La relazione terapeutica vive un momento cruciale. Elena si pente di aver parlato con franchezza.
Marco si rifiuta di credere possibile un fatto simile.
Penso all'autoritratto che ha scelto e prima ancora al "buco" nel busto della figura nella scultura di De Chirico. Gli dico: "La sua desolazione e la sua disperazione vengono assai più da lontano dell'assunzione della direzione dello studio di suo padre".
Marco tace a lungo. Poi dice: "È vero ho paura da tanto tempo. Alla fine ho avuto paura di aver paura. Io sentivo, sentivo la tensione nell'aria ed il disagio di Elena, ma non volevo sentire... non volevo vedere... non volevo crederci".
Lavoriamo su questo nuovo aspetto, sulla membrana di coppia, sui confini.
Intanto Marco ed Elena hanno parzialmente ridotto gli orari di lavoro allo studio, Marco si è iscritto ad un corso di patente nautica, Elena ad un corso di sceneggiatura.
Non vanno più a pranzo dai genitori di lui.
Alla 11a seduta chiedo di scegliere un'immagine che rappresenti ciò che desiderano per l'altro nella coppia. Visti i cambiamenti avvenuti ed il percorso avviato, mi sembra opportuno introdurre il tema del desiderio di ciò che fa stare bene l'altro e la progettualità nell'ambito della coppia.
Mi interessa verificare quanto l'uno è capace di "vedere" l'altro, di essere consapevole dei desideri dell'altro, di sentirsi parte in causa in funzione del benessere del partner.
Marco sceglie Gustav Klimt, "Danae", 1907-08.
Mi colpisce l'aria appassionata e rapita della donna, raccolta in posizione semi fetale a ricevere la pioggia d'oro, il seme, la continuità.
Elena sceglie Vincent Van Gogh, "Il mietitore", 1889.
Mi colpiscono i colori del quadro, i gialli e gli oro, il sole pieno nel cielo, il mietitore che si accinge a raccogliere le sue messi. Ricchezza, abbondanza, luce piena, il ritmo cadenzato della mietitura ed il rispetto del tempo della natura.
Lavoriamo su come risuonano le immagini scelte dall'uno nell'altro.
Elena gioisce all'idea del seme, desidera un figlio da tempo, ma non ne parlava data la problematica che ha portato la coppia in terapia, ovvero l'impotenza di Marco che perdurava da più di un anno. Si commuove vedendo quanto Marco la vede, ha presente il suo desiderio.
Marco tace. Alla fine, con poche parole conferma il suo bisogno di raccogliere ciò che ha a lungo coltivato. Aggiunge: "Soltanto dopo la mietitura è possibile una nuova semina".
Lavoriamo sul rispetto dei tempi di entrambi (lavoro - riposo per Elena; dentro - fuori dallo studio per Marco; appartenenza - individuazione rispetto alla famiglia di origine per entrambi); sulla sessualità della coppia (il tempo del desiderio, la durata del rapporto, l'atmosfera giusta), sul progetto della genitorialità. Tocchiamo il tema della genitorialità, della stirpe e del genere.
Lavoriamo sulla membrana di coppia e sulla "tenuta" rispetto a nuove possibili invasioni legate alla nascita di un erede, metaforicamente conteso fra due stirpi, quella materna e quella paterna.
Intanto i rapporti sessuali sono nuovamente ripresi, tra successi e qualche flop, senza l'ausilio di farmaci.
Marco ha preso la patente nautica, trascorre il fine settimana in barca con Elena, che sta scrivendo la sua prima sceneggiatura.
Proseguiamo il lavoro sull'intimità di coppia e sulla complicità. Chiedo di scegliere un'immagine che rappresenti la loro coppia oggi.
Marco sceglie Egon Schiele, "Abbraccio", 1917.
La coppia presa in un abbraccio appassionato, lui che sussurra all'orecchio di lei, lei che accompagna la voce con il gesto della mano. La fusione dei corpi e dei pensieri.
Elena sceglie Marc Chagall, "Sulla città", 1914-18.
Elena dice: "Noi, liberi di andare, liberi di fare, liberi di ascoltarci e di ascoltare i nostri desideri". Noto che nel quadro lei accetta che lui la conduca, sempre che lei si tenga a lui, ma con la mano libera, protesa nel volo, senza timore.
Ritengo che la terapia sia finita.
La mia valutazione è dovuta a diversi indicatori: il problema per cui la coppia è venuta in terapia (impotenza di Marco) è ormai superato; il rapporto all'interno della coppia si è ristabilito; la membrana di coppia si è ricomposta ed irrobustita, ridefinendo i rapporti con l'esterno (la famiglia di origine, il lavoro, il tempo libero); la progettualità della coppia è rivolta nella stessa direzione (un figlio).
Elena non concorda. Ha paura di una ricaduta. Teme il rientro della famiglia del marito nelle dinamiche di coppia.
Marco è sereno, sente che hanno capitalizzato tanto, che hanno "immagazzinato abbastanza".
Elena dice: "E poi io non sono nemmeno incinta".
Ritengo che la terapia sia conclusa, che possano continuare il cammino da soli sulla linea tracciata insieme. Li congedo confermando che sono comunque a loro disposizione se avessero nuovamente bisogno di me.
Questo Natale - due anni circa dalla fine della terapia, due anni nel corso dei quali non ho più avuto loro notizie - ricevo un biglietto di auguri.
È un'immagine di Egon Schiele "La Famiglia", 1918.
È firmato Marco, Elena e Thomas.

Conclusioni
Confido che questo contributo abbia stimolato diverse riflessioni e - perché no? - il desiderio di approfondire l'uso delle immagini d'arte nella clinica di coppia.
Personalmente ritengo l'uso dell'immagine imprescindibile nel lavoro clinico sia di coppia, che individuale e familiare.
In psicoterapia, la saturazione del canale verbale è tale, che spesso è l'immagine che ci consente di accedere a ciò che sta a cuore al paziente e di cui egli stesso spesso non ha consapevolezza, come il caso di Elena e Marco ha evidenziato.
Su tale prospettiva, condivido pienamente quanto asserito da James Hillmann, ovvero che "prima di diventare una storia, ogni vita offre se stessa come un continuum di immagini e chiede di essere vista prima di tutto. Anche se ogni immagine è sicuramente piena di significati e potrebbe essere analizzata, quando saltiamo ai significati, senza considerare le immagini, perdiamo un piacere che non può essere recuperato da nessuna interpretazione, per quanto perfetta".
Dall'altro lato, sempre nella stessa prospettiva, sono convinta di quanto asserito da Littmann, ovvero che "il potere della metafora - in questo caso l'immagine, n.d.r. - risiede molto chiaramente nella sua capacità di raggiungere una componente affettiva della personalità che comunemente è troppo ben difesa per essere raggiungibile".
Dalle loro riflessioni e dagli altri contributi teorici dei quali ho fatto menzione è nato l'uso che faccio delle immagini d'arte nella clinica.
Mi rendo conto di quanto ancora vi sia da fare ed il mio lavoro prosegue in tal senso. Molteplici sono gli interrogativi che si pongono. Tra gli altri: "quale uso del Sé del terapeuta nell'ambito dell'uso delle immagini d'arte in terapia? Quale ulteriore protocollo più dettagliato, relativo all'uso delle immagini d'arte in terapia?"
E numerosi altri interrogativi ancora. Ma questa è la strada della ricerca...

Note
  1. W. Benjamin, Piccola storia della fotografia, 1931
  2. R. E. Krauss, The optical unconscious, Mit Press, 1994

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Centro CoMeTe: Istituto di Terapia Familiare
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