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AION: Scuola di Psicoterapia Analitica - Bologna

AION
Scuola di Psicoterapia Analitica

DIREZIONE
Bologna: Via Palestro, 6 - tel 051.0218791
www.psicologiajunghiana.it

Intervista al Dott. Luca Valerio Fabj: la Psicologia del profondo
di Redazione


Dott. Luca Valerio Fabj
Il Dr. Luca Valerio Fabj è Medico Chirurgo Psicoterapeuta Specialista in Psicoterapia analitica.
È direttore della Scuola di Psicoterapia Analitica Aion di Bologna, presso la quale insegna Psicopatologia, Neuropsicologia analitica, Psicoterapie Junghiane, Psicologia dell'esperienza religiosa. Dirige "Il Minotauro", rivista scientifica che si occupa di problemi e ricerche di Psicologia del profondo.

Intervista al Dott. Luca Valerio Fabj: la Psicologia del profondo

1) La Scuola AION da Lei diretta abbraccia l'orientamento junghiano. Nel panorama "delle psicologie analitiche" che afferiscono a Jung, qual è nello specifico il modello seguito da AION e quali i concetti cardine dello stesso?
L'ottica alla quale si riferisce l'attuale impostazione della Scuola AION è quella junghiana del Nord Europa e del Nord America. Una corrente di pensiero che inizia con Fordham e, passando per molti altri - fra cui Plaut e la Davidson, solo per citarne alcuni - giunge al canadese Swartz-Salant.
Questa visione del pensiero di Jung, che è lungi dall'essere ortodossa, è un'ottica che vuole dialogare con i clinici della teoria psicoanalitica delle Relazioni Oggettuali, che ha come capostipite la Klein.
Veda, al riguardo alcuni anni fa io ho pubblicato un lavoro che ha avuto l'approvazione e prefazione del Professor Renzo Canestrari sui rapporti fra il pensiero di Jung e quello della Klein. Il Testo, che si intitola "Alchimia della Immagine. L'alchimia e il transfert: Jung e la Klein", mostra tutti i punti di contatto fra la psicologia analitica e la teoria delle relazioni oggettuali e dimostra come il meccanismo di difesa definito dalla Klein "identificazione proiettiva" fosse già stato isolato da Jung nel 1921 in "Tipi psicologici" e da lui denominato "proiezione attiva". In altri termini, si è cercato di mostrare come, usando una terminologia differente, i due Autori e le due Scuole abbiano una enorme affinità concettuale e di tecnica terapeutica.
Infatti, per rispondere alla sua domanda, i cardini del metodo terapeutico junghiano che cerchiamo di insegnare agli allievi della nostra scuola sono la interpretazione di transfert e contro transfert e la elaborazione degli stessi fra analista e paziente per mezzo delle loro proiezioni e contro proiezioni, seguendo il concetto base di Jung secondo il quale: "il terapeuta è in terapia insieme al suo paziente" (Jung, 1946). Per cui, come vede, la pratica clinica della identificazione proiettiva fra paziente ed analista usata dai teorici delle relazioni oggettuali - come Ogden, ad esempio - è di grandissima utilità seguendo il metodo Nord Americano come quello di Salant.
2) Nella psicologia del profondo spesso, per "decodificare" l'inconscio, si fa ricorso al mito. È possibile considerare la mitologia come una sorta di pantheon degli archetipi? E qual è il ruolo degli stessi nella psicologia del profondo?
Veda, parlare di "pantheon" rispetto agli archetipi junghiani è un termine che, a mio modesto avviso, rischia di creare il solito equivoco che la psicologia analitica sia una sorta di teoria mistico-magico-religiosa dell'inconscio: ciò, oltre a non essere vero, è un'idea che io fermamente combatto, poiché ritengo che questa concezione sia quanto di più dannoso e pericoloso si possa concepire nella pratica della psicoterapia, che si rivolge molto spesso a persone fragili e talora davvero in equilibrio precario rispetto al rischio di sviluppare una psicosi.
Diciamo - per sintetizzare - che la visione della nostra Scuola rispetto all'archetipo è quella dell'ultimo Jung, che ne "L'Uomo e i suoi Simboli" (1964) li definisce dei pattern di comportamento e relazione psichici a priori. Il mito altro non è che la simbolizzazione di questi schemi innati di comportamento e relazione psicologici del tutto analoghi ai pattern biologici istintuali. Il mito ci serve proprio a decodificare questi schemi che sono "problemi comuni" da risolvere, comuni alla storia di tutta la specie umana. Per cui usiamo il senso/significato del mitologema per giungere al senso/significato profondo che un archetipo può possedere per l'inconscio del paziente che ci troviamo di fronte. Il ruolo che gli archetipi posseggono - se visti secondo questa ottica di pattern psicologici e solo secondo quest'ottica - diviene fondamentale in psicologia del profondo, poiché essi altro non sono che il nucleo centrale e significativo dei complessi.
Tuttavia, vorrei insistere sul fatto che, proprio in quanto schemi innati di carattere relazionale psichico, essi hanno molto in comune con le relazioni oggettuali della Klein e con i "fantasmi" immaginali, come Lei li definiva, che essi producono nella psicopatologia.
3) All'interno del modello formativo AION qual è l'importanza dell'insegnamento della psicopatologia e quale lo scopo della psicoterapia?
La psicopatologia è di importanza fondamentale nella nostra Scuola. Sia la psicopatologia descrittiva che quella psicodinamica e fenomenologica vengono ampiamente ed accuratamente insegnate agli allievi. Le basti pensare che psicopatologia, psichiatria, psicologia clinica, neuropsicopatologia e psicodiagnostica sono oltre il quaranta per cento dell'insieme delle ore didattiche complessive dei nostri corsi. Del resto, anche io ho pubblicato un trattato di psicopatologia generale di oltre 700 pagine, proprio per l'importanza che essa riveste - a mio avviso - nella pratica professionale dello psicoterapeuta.
Rispetto allo scopo della psicoterapia, il nostro Ordinamento fa riferimento alla definizione scientifica della stessa, ovvero "cura con mezzi non somatici dei disturbi psichici". Ovviamente, essendo la nostra una psicoterapia psicodinamica ad orientamento junghiano, il termine "cura" va specificato: con esso, come per qualsiasi altro paradigma di psicodinamica, si intende la ricerca di un "compenso" (come sostiene il Bergeret, 2009) del quadro clinico che ci si trova davanti, essendo l'idea di "guarigione" totale di un disturbo talora più un'utopia che una realtà raggiungibile. In altri termini, gli scopi della psicoterapia analitica della nostra Scuola sono gli stessi di tutte le altre terapie psicodinamiche, che vanno dalla risoluzione dei sintomi bersaglio di specifiche patologie psichiatriche fino ad uno stato di consapevolezza tale da parte dell'individuo che può portare ad una vera ristrutturazione della sua personalità, che Jung definì "individuazione".
4) Nel percorso formativo l'analisi dell'allievo e la supervisione ricoprono un ruolo fondamentale. È possibile delineare lo scopo delle stesse e la differenza tra analisi didattica e analisi personale?
L'analisi personale dell'allievo - che l'attuale impostazione della Scuola, a differenza di molte altre, non permette possa avvenire con i Docenti della Scuola stessa - ha lo scopo di far sì che lo stesso riesca, se possibile, ad ottenere una risoluzione dei suoi conflitti interiori, o perlomeno ne abbia un'ottima consapevolezza, in modo che questi conflitti non influiscano negativamente nella terapia che andrà a svolgere con i pazienti una volta diplomato. Anche perché, secondo la visione di Jung, il conoscere bene i propri conflitti diventa una ricchezza nel rapporto contro transferale con il paziente e ciò ci fa tornare all'inizio, quando parlavamo del tipo di terapia che si insegna nella nostra Scuola.
L'analisi didattica che completa la precedente, invece, serve a fare sì che l'allievo si impadronisca delle procedure tecniche specifiche della psicoterapia analitica.
In ogni caso, entrambe nella nostra Scuola non sono svolte con chi fa lezione, ma avvengono con terapeuti non docenti di AION. Invece un'enorme importanza e spazio all'interno della Scuola viene data alla supervisione individuale e di gruppo sui casi clinici.
5) L'associazione ALBA (Associazione di Ricerca in Psicologia Analitica), da cui è promossa la Scuola, è organo editoriale della rivista scientifica, accreditata ANVUR, Il Minotauro. Qual è l'obiettivo della rivista? Cosa implica pubblicare articoli sulla stessa e chi può pubblicare?
Le faccio solo una doverosa precisazione: la rivista Il Minotauro - di cui sono Direttore e ne posseggo la proprietà intellettuale - non è edita dalla AssoAlba, ma da un editore privato, ovvero Paolo Emilio Persiani di Bologna; essa è, però, l'Organo Ufficiale della Scuola.
La rivista, che è una rivista di psicologia del profondo, ha molte altre autorizzazioni depositate presso il Tribunale di Bologna, che vanno dalla neurofisiologia alle scienze umane, passando per la psichiatria.
La precedente impostazione di questa antica rivista era quella di pubblicare solo articoli di psicologia analitica; l'uso che invece ne faccio io come Direttore è diametralmente opposto. Anche Il Minotauro, proprio come la Scuola, aborrisce ogni forma di ortodossia, essendo la ortodossia - a mio avviso - valida al massimo per le sette religiose e messa in pratica da individui ignoranti ed insicuri, ma non è valida per una scienza come è la psicologia del profondo. Per cui Il Minotauro serve come una Libera Tribuna Scientifica di pareri differenti nell'ambito di tutto ciò che può definirsi con il termine di mondo "Psi", ma soprattutto, ovviamente, nell'ambito della psicologia del profondo. L'idea è quella di dare un contributo affinché, anziché farsi un'assurda e stupidamente narcisistica guerra fra loro, i vari paradigmi psicoanalitici possano utilmente dialogare.
Chiunque può pubblicare sul Minotauro, purché sia qualificato e rispetti i criteri scientifici previsti dalla rivista, che sono quelli comunemente utilizzati per la pubblicazione di qualsiasi articolo scientifico. Come Direttore non sono mai entrato e non intendo entrare nel merito delle ipotesi e opinioni di un articolo; entro solo nella forma che esso possiede: opinioni non sostenute da una adeguata bibliografia scientifica o ipotesi portate avanti solo su dictat personali di ego un po' troppo espanso non trovano posto in questa testata. Per pubblicare è sufficiente inviare l'articolo alla redazione del Minotauro: esso sarà vagliato da me e dal comitato scientifico e, se possiede i requisiti richiesti per l'impostazione di un articolo scientifico, a prescindere dal fatto che il Direttore la condivida o meno come impostazione, verrà pubblicato.
È chiaro che articoli sul tema natale astrologico dei pazienti come causa della loro patologia non verranno pubblicati: esistono altre testate - fra l'altro con tirature molto più ampie - che si occupano di "misteri" e cose affini. Tuttavia, come ho detto, oltre all'aspetto scientifico la rivista ne possiede anche uno culturale per cui, per seguire l'esempio precedente, qualcuno che vuole pubblicare un articolo sugli aspetti psico-antropologici della astrologia sarà il benvenuto.
Come vede, l'impostazione del Minotauro è un qualcosa che non si trova nel panorama editoriale italiano della psicologia del profondo.
6) Concludendo, Direttore, partendo dalla sua esperienza di analista e didatta, cosa significa intraprendere il percorso per diventare psicoterapeuta junghiano?
È un faticoso e lungo percorso di crescita personale al servizio degli altri. Spesso ci si dimentica che terapia deriva dal greco "therapeìa" che significa, appunto, "servizio". Fare lo psicoterapeuta è un'arte e una tecnica che, se manca questa visione di partenza sul servizio, rischia di divenire una vera e propria sofferenza e delusione per chi la pratica o, all'opposto, può trasformarsi in modo talora protervo, megalomane, quando non francamente sadico nei confronti delle persone sofferenti che si rivolgono alle nostre cure.
A mio avviso una corretta impostazione junghiana favorisce molto la comprensione della necessaria umiltà che è indispensabile per compiere correttamente questo lavoro. Un'umiltà su cui Jung ha sempre insistito, che, se veramente fatta propria, non diviene una fonte di insicurezza, ma una solida base su cui operare di fronte a qualcosa di immenso: il mare magnum dell'inconscio che nessun piccolo "bicchierino" di coscienza, per quanto colta e preparata sia, può contenere. Jung ha sempre sostenuto, infatti, che "solo il medico ferito, guarisce": se ci si crede invulnerabili, non si sarà, quindi, mai in grado di curare nessuno; se invece si affronterà con costanza, dedizione e scopo di servizio il non certo semplice percorso per divenire analista junghiano, si potrà scoprire in sé stessi come non solo non si è "superiori" ai nostri pazienti, ma come nessun essere umano, sebbene unico, sia un'entità sola separata dagli altri. Ciò sarà fonte di realizzazione e di grande soddisfazione personale, più di qualsiasi titolo, pubblicazione, saldo in attivo del proprio conto corrente, perché, junghianamente parlando, ci si sarà "individuati" sentendosi parte dei propri simili, sapendo veramente – nel senso di "sapio", assaporare – che quando un altro uomo piange o ride, siamo noi stessi a piangere o ridere con lui.
E solo questo straordinario risultato emotivo di partecipazione umana, soltanto umana, senza alcuna componente di non si sa quale meraviglioso ottenimento magico-esoterico, è, a mio avviso, ciò che Jung chiama "individuazione"; ed è questa corretta relazione oggettuale di accettazione/amore per l'altro, unico modo per poter amare veramente anche sé stessi, che fa crescere e guarisce.
Intervista realizzata dalla
Redazione del Centro HT


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