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Crisi e conflitto: mediazione, 'intervento per il cambiamento', terapia, percorsi differenti della Scuola Genovese
di Lia Mastropaolo


Estratto da Mastropaolo L., Crisi e conflitto in terapia, mediazione e "intervento per il cambiamento": percorsi differenti della Scuola Genovese, in "Manuale Clinico di Terapia Familiare", a cura di Chianura L., Chianura P., Mazzoni S., Fuxa E., Franco Angeli, 2010

"Dappertutto ci sono fili.
I fili sono diversi, come sono diverse le persone.
Possono essere sottili e forti, leggeri e robusti.
Certi fili si chiamano legami.
Sono invisibili ma molto tenaci.
Le strade sono fili che uniscono le persone.
Ci sono fili che è bello seguire
Per scoprire cosa c'e' in fondo...
".
(Beatrice Masini, Mara Cerri, "Fili", ARKA)
Introduzione
Questo contributo presenta il modello della Scuola Genovese che, nel riformulare i conflitti, propone interventi differenziati (vedi schema A) e con caratteristiche specifiche.
Per la Scuola Genovese i conflitti sono visti non in termini distruttivi, ma in termini evolutivi e, secondo un'epistemologia sistemica, considerati eventi di comune amministrazione, che fanno parte del quotidiano della vita delle persone. Sono un pezzo della conversazione, connessi in modo circolare, attivano processi di cambiamento nelle dinamiche interpersonali e sociali e trasformano la relazione.
Noi tecnici consideriamo non tanto il disagio in se', quanto il modo in cui le famiglie o i gruppi affrontano con successo la crisi connessa al malessere.

Schema A – Interventi differenziati della Scuola Genovese

I conflitti possono essere di famiglia, di comunita', d'impresa, internazionali e sempre vanno superati o meglio rielaborati, ma per riformularli e' necessario il consenso (la collaborazione) delle parti in causa che, quando non c'e', va costruito.
Il prevedere interventi differenziati permette di adattare lo strumento alle diverse situazioni, ai singoli contesti, usando una caratteristica propria del modello sistemico: la flessibilita'.

Il modello della Scuola Genovese
Il modello della Scuola Genovese, per affrontare il tema delle conflittualita' familiari e sociali prevede quattro tipi di intervento diversificati:
  1. Intervento di mediazione, diretto ai sistemi (in particolare coppie in crisi) caratterizzati da alta conflittualita', che scelgono o accettano una via di collaborazione, con richiesta volontaria, fuori dai circuiti giudiziali e con segreto professionale.
  2. Intervento per il cambiamento in caso di perizia (Mastropaolo L., 1989) una specifica metodologia della Scuola Genovese che, nonostante i vincoli dell'invio coatto del Giudice, permette ai genitori di riappropriarsi della propria capacita' genitoriale e di giungere ad un accordo sulla gestione dei figli.
    Si tratta di separazioni giudiziali inviate dal Giudice che chiede una consulenza o una perizia tecnica. Accetto e definisco questo contesto ma propongo la trasformazione dell'incarico di diagnosi in un percorso di cambiamento delle relazioni familiari e di superamento dei conflitti nonostante i vincoli iniziali dell'invio coatto.
  3. Intervento di costruzione del contesto. Diretta a situazioni complesse e ambigue, con profondo malessere e sofferenza senza tuttavia una domanda esplicita d'intervento, con forte implicazione di reti professionali e agenzie tendente ad articolare un contesto che renda possibile l'intervento come con famiglie multiproblematiche di immigranti.
    La condizione preliminare per riformulare situazioni di crisi consiste nell'ottenere il consenso dei sistemi antagonisti.
  4. Intervento di terapia: diretto ai sistemi che sviluppano strategie inadeguate di risoluzione di conflitto radicalizzato in presenza di sintomi e/o violenza, ma con capacita' di accettare un percorso di lavoro terapeutico intrapreso in modo volontario.

Come si ottiene il consenso per attuare un intervento?
Per un tecnico il modo di entrare in contatto con i conflitti avviene o attraverso l'invio d'autorita' o attraverso la richiesta spontanea degli interessati disposti a collaborare per risolverli. In ambedue i casi si tratta di passare attraverso il consenso delle parti in causa o addirittura di costruirlo.
Ognuna delle quattro metodologie, prevede il consenso, presupposto essenziale per riformulare i conflitti. I passaggi per riformulare le situazioni di crisi sono:
  • creare il consenso tra le persone coinvolte nel conflitto per affrontarlo e rielaborarlo;
  • cambiare le premesse epistemologiche (i pregiudizi);
  • "Manejar el conflicto";
  • elaborare una storia comune;
  • costruire un accordo di fondo per formulare degli accordi.

Affinche' il mandato della coppia diventi: "consentire in maniera convinta e consapevole di intervenire sulla crisi" occorrono una serie di passaggi.
E' necessario che il tecnico sia riconosciuto "neutrale" attraverso interazioni chiare date a entrambi, anche separatamente, ma "autorizzate" (per esempio parla con uno dei due con il consenso dell'altro) e attraverso una posizione equidistante, accogliente e che, ovviamente, escluda il giudizio.
Il successivo passaggio e' che ognuno dei due riconosca la sofferenza dell'altro e il suo punto di vista.
Il consenso parte dal presupposto: "riconosco che non sei fuori di testa, hai dei motivi per vedere le cose come le vedi, riconosco che c'e' sofferenza nel tuo non riuscire a trovare una via d'uscita al conflitto".
Focalizziamoci adesso sulle coppie che hanno deciso di separarsi o in fase di divorzio.
La mediazione familiare e' uno dei possibili interventi che si possono fare con la coppia in crisi.
La mia esperienza nel campo dell'approccio sistemico mi ha consentito di ampliare il contesto e di considerare la tematica nel suo complesso: "coppie in crisi in caso di separazione e divorzio".
La metodologia dell'intervento e' una conseguenza e dipende dalla domanda e dal percorso che la coppia ha deciso di intraprendere nella scelta della maniera di litigare. Infatti per quelle coppie che scelgono di litigare in Tribunale e delegano al giudice la risoluzione del loro conflitto, la conoscenza o la proposta dello strumento della mediazione risulta inappropriata rispetto alle loro attuali possibilità.
Per questo e' importante diversificare le modalita' di intervento ed e' percio' che ho strutturato metodologie differenti in base al tipo di richiesta: "intervento per il cambiamento per gli invii coatti", mediazione per i casi spontanei. (vedi schema B)

Schema B - "intervento per il cambiamento per gli invii coatti" e le perizie,
la mediazione per i casi spontanei



I diversi interventi: Teoria e Prassi
Analizziamo ora i singoli interventi iniziando dalla mediazione.
La Mediazione
Definizione di Mediazione Familiare.
«La Mediazione Familiare e' un percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o in seguito alla separazione o al divorzio. In un contesto strutturato, il mediatore, terzo "neutrale" (nel senso usato da Cecchin cioe' colui che influenza ed e' influenzato dal sistema ma viene percepito come equidistante) e con la formazione specifica, sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale ed in autonomia dall'ambito giudiziario, si adopera affinche' i genitori elaborino in prima persona, superando il conflitto, un programma di separazione soddisfacente per se' e per i figli, in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale»1.
Gli obiettivi sono la cooperazione genitoriale, la continuità dei legami genitoriali e la reciprocità del senso di responsabilità. Percio' la mediazione e' una risposta nella prevenzione dei problemi psicologici dei bambini quando i genitori si separano e si pone anche a livello di un cambio culturale, in un contesto non giudiziario nel passaggio da una posizione simmetrica ad una collaborativa dei genitori separati.

La Mediazione Familiare: modalita' e prassi di lavoro secondo il Modello Genovese
Nella Mediazione individuo alcune fasi.
Premediazione
Si tratta di valutare in quale fase della crisi si trova la coppia, quanto e' stata elaborata la decisione di separarsi e quale sia l'intervento piu' appropriato.
Se la risposta e' la mediazione si definisce l'intervento e si esplicita il contesto.
Il percorso di mediazione prevede un numero di 8/12 incontri.
Lavoro con la coppia
Lavoro con la coppia con l'obiettivo che i genitori arrivino a poter comunicare rispetto ai figli, per trovare un accordo reale. Se questa e' la finalità, per farlo, i passaggi sono:
a) invitare entrambi i genitori, anche se sono in grave conflitto o negli ultimi tempi non si vedono piu'.
A volte e' necessario un complesso lavoro telefonico per superare le reticenze di un genitore che ha difficoltà a venire al 1° incontro.
Quasi mai, in un lavoro di mediazione accetto di vedere un solo partner, perche' penso che questo venga vissuto come alleanza con chi viene e non permetta piu' all'altro di recarsi all'incontro; invalida la successiva possibilità di vederli insieme e di dare un messaggio di neutralità.
b) altro passaggio quasi obbligatorio per lavorare con la coppia e' rappresentato dal liberare i figli implicati nella vicenda separativa e coinvolti nelle beghe di coppia, per farli uscire dalla posizione di "chi sta in mezzo al conflitto o di chi e' triangolato".
Per questa ragione invito al primo incontro anche i figli, a differenza di altri mediatori, a meno che non ci sia una chiara opposizione da parte dei genitori, sempre e comunque nel rispetto di cio' che intendono condividere con loro, preciso che si parlerà in loro presenza solo di quanto emergerà dai figli.
Questo propongo, sebbene poi non li faccia partecipare al processo di mediazione che riguarda solo la coppia genitoriale.
c) Lavoro sul conflitto di coppia
  • Momento di crisi: idee e sentimenti che fanno parte di un modo di pensare incongruente con quello di prima, interviste con espressioni emozionali molto forti (rabbia rancore, a volte violenza).
    Ogni membro della coppia narra la propria visione dando la colpa del fallimento all'altro.
    Se la premessa era "staremo uniti tutta la vita", quando la relazione di coppia si impoverisce, le aspettative sono disilluse, la coppia entra in crisi e il conflitto si manifesta nel gioco delle responsabilita': "sei tu il colpevole del fallimento della nostra storia", si perde il filo della matassa e non ci si domanda: "come siamo arrivati a tutto questo e come mai siamo in crisi".
  • Decostruzione/costruzione. Il conflitto emerge dalla discrepanza tra l'idea originaria di coppia: "noi, mai ci separeremo", l'impossibilità di funzionare ormai come coppia e l'idea, accettata culturalmente ma poco emotivamente, "possiamo separarci".
    Non c'e' corrispondenza tra l'originaria idea di coppia e la realtà della convivenza.
    Questo produce il sentimento del fallimento.
    In molte situazioni, per di piu', la storia di coppia si confonde con la storia della famiglia.
    Nell'immaginario della coppia, le relazioni sono confuse con le identità: e' persa la differenza tra l'idea di se stesso (self), di individuo, di individuo nella coppia e di genitore.
    Nella crisi della separazione e' come se si verificasse una confusione in cui non e' permesso distinguere tra se' nella fine della relazione di coppia e il permanere di se' come individuo, come genitore. E' difficile separare la storia coniugale dalla storia genitoriale, fino a che il gioco e' quello di attribuirsi la colpa non sarà possibile che l'altro appaia come figura positiva di genitore e, quando si fa la guerra, ognuno cerca i suoi alleati fino a formare due eserciti fatti di amici, parenti e, poi avvocati e giudici. Favorisco una comunicazione tra i due che permetta di costruire una spiegazione attuale, a due voci, sulla trasformazione della storia di coppia, superando la visione vittima/colpevole.
    Nella costruzione della terza storia, la coppia genitoriale elabora una lettura diversa del passato che e' la spiegazione che la ex- coppia si dà nel presente, diversa da quella che ognuno si e' data finora. E' importante poter cambiare il passato per poter cambiare il presente, e conseguentemente il futuro.
    Questi sono passaggi necessari per arrivare a costruire la possibilità di accordi reali sui figli.
    Il mio lavoro consiste nell'aiutarli a costruire questa terza storia, dove le necessità, i sentimenti, i pensieri dei due trovano un'integrazione in un'unica storia raccontata a due voci, dove le due storie personali si integrano, mentre si chiariscono su come si sono allontanati e hanno smesso la relazione di coppia. Solo a questo punto si crea uno spazio mentale per i figli, perche' ognuno puo' vedere l'altro come qualcuno da rispettare e su cui contare come genitore affidabile.
    Pertanto ritengo essenziale "manejar el conflicto" perche' come dice Maturana:
    «le soluzioni al conflitto non sono razionali ma emozionali».
    (Seminario Etica y Epistemologia, Barcelona, 1996)
d) Lavoro sugli accordi rispetto ai figli.
A questo punto e' molto facile che i due genitori recuperino uno spazio mentale rispetto ai figli: discutono assieme i temi fondamentali della loro futura relazione familiare, i punti su cui entrambi ritengono importante intervenire e "mettersi d'accordo" per garantirsi un aiuto reciproco e condividere una comune responsabilità genitoriale, assicurando una serena crescita ai figli.
Dopo essersi confrontati sui temi piu' scottanti: sulle scelte educative, scolastiche ecc. frequentazioni nonni, nuovi partners ecc., modalità di comunicazione tra loro come genitori, stilano accordi che presenteranno poi per iscritto al giudice.

Sei buone ragioni per far partecipare i figli al primo incontro
In sintesi dedico ai figli il 1° incontro in un clima colloquiale (Mastropaolo L. 2008):
  1. Per valutare la risonanza che ha sui figli la separazione dei genitori.
    Permette ai bambini di verbalizzare, dinanzi ai genitori e con un mediatore (che puo' eventualmente moderare), le tensioni che stanno vivendo in famiglia o in maniera poco chiara o in un conflitto diretto e aperto. Sono interessanti i commenti che fanno i bambini, anche piccoli, sulla situazione che stanno vivendo. Spesso genitori che mi avevano comunicato telefonicamente:
    «I nostri figli non sanno niente, non litighiamo dinanzi a loro» restano esterrefatti circa il grado di conoscenza della situazione di coppia.
    Una bimba di 8 anni, alla domanda: «Come va a casa tua in questo periodo?», mi rispondeva:
    «E' cambiato, prima stavamo in tre, ora, uno entra e l'altro esce».
    Un bambino di 5 anni dice: «Io cerco di dividerli quando litigano e mi mettero' sempre in mezzo tra loro finche' non vado a militare».
  2. Per un effetto di risonanza sui genitori di quello che i figli pensano della situazione di separazione. In molte situazioni, ascoltare che i figli si sono resi conto del cambiamento di relazione dei genitori, mitiga il comportamento di aggressivita' dell'uno verso l'altro.
    Questa verbalizzazione permette a mamma e papà, tanto coinvolti nella lite di coppia, di rispondere alle chiarificazioni che i figli chiedono e di "mettersi nei loro panni", introducendo informazione nel sistema e un cambiamento relazionale.
  3. Per conoscere il contesto familiare nel quale si produce il processo di separazione:
    «Sono 6 mesi che M e P sono in lite. Ora che sono separati vivono in due case diverse.
    La nonna che vedo tutti i giorni non ha mai accennato a niente; io a scuola mi sono alzato e ho comunicato alla maestra e ai compagni che i miei si sono separati».
  4. Per il "prima e il dopo". Nella storia. Chiedo ai genitori, nella prima intervista, di raccontare la loro storia di coppia e di famiglia alla presenza dei figli.
    E' cosi' che i bambini riescono a distinguere tra un "prima e un dopo".
    "I rapporti tra i genitori, rotti allo stato attuale, non sono stati sempre cosi' conflittuali".
  5. Per l'idea di evoluzione della famiglia.
    L'utilizzo di un discorso storico della famiglia introduce continuita' e senso dell'evoluzione, recupera la possibilità di un futuro accordo su un passato comune e permette ai figli di intravvedere un "filo conduttore" nelle relazioni familiari che continuano.
  6. Per dare informazione ai figli e tirarli fuori da terzi nella disputa.
    Infatti nelle conclusioni definisco che:
    • I genitori hanno deciso di utilizzare un percorso rispettabile come quello della mediazione e non la lite nei Tribunali.
    • Manlevo i figli dal "porsi come terzi nella discordia di coppia e dal continuare a occuparsi del conflitto dei genitori ora che hanno deciso di usare lo spazio della mediazione per discutere e mettersi d'accordo su di loro".
      Cosi', ad esempio, una bimba di 5 anni che fino allora aveva dato "ottimi consigli (separatamente) a mamma e papa' perche' non litigassero" si e' tenuta fuori dalle loro beghe.
      L'ulteriore passaggio e' il lavoro sulla divisione tra se' come coppia e se' come genitori:
      "Una storia, quella della coppia, finisce e l'altra, quella genitoriale, continua".
Il percorso di mediazione viene fatto con i soli genitori e in genere non invito i figli al 2° incontro.

La Mediazione globale integrata
La scelta e' fare una Mediazione globale, garantendo al massimo la famiglia, con un intervento a due voci che assicuri la migliore professionalita' sia nell'ambito degli affetti che dei diritti: significa avere a disposizione un mediatore che piu' specificatamente si occupi degli aspetti emozionali e relazionali assieme a un avvocato esperto in mediazione, che si occupa dei diritti e degli aspetti patrimoniali.
La Mediazione globale integrata non implica necessariamente una condivisione degli stessi spazi operativi, ma nemmeno la esclude. Tra i due tecnici c'e' una collaborazione continua in cui sono possibili interventi congiunti o separati con la finalità di integrarsi nelle specificita' e di definire un accordo che tocchi tutti i punti.
La scelta della sede, fatta dai clienti, determina la forma di collaborazione: e' diverso se la prima richiesta d'intervento viene fatta a un avvocato o a un mediatore o ancora se la coppia fa richiesta di una prima consulenza in uno spazio dove incontra entrambi i professionisti.
Ne e' esempio l'esperienza portata avanti per piu' di 3 anni nello Spazio Famiglia di Genova-Recco dove, in veste di mediatore assieme a un avvocato esperto in mediazione, ho gestito il 1° incontro con le coppie per spiegare la finalità della mediazione, le alternative possibili per valutare e decidere quale fosse l'intervento prioritario in base alle richieste.
I due professionisti poi si dividono compiti e competenze mantenendo una collaborazione continua in cui sono possibili anche interventi congiunti.

"L'intervento per il Cambiamento" una trasformazione della perizia: modalita' e prassi di lavoro secondo il Modello Genovese
Ci sono situazioni in cui non si puo' rispondere con un intervento di mediazione poiche' non c'e' una richiesta volontaria. Si tratta di separazioni giudiziali dove si e' messo in moto un meccanismo di ricorsi, denunce, querele che si protrae anche per anni.
In queste situazioni, fare una diagnosi, una fotografia della situazione, permette di dare una risposta al giudice che chiede una consulenza, ma lascia il conflitto della coppia inalterato.
La certezza dell'inutilità della sola diagnosi ha determinato il mio interesse a studiare e ad attuare da anni un diverso modo di lavorare, che ha trovato una sua specificità nel lavoro con le coppie altamente conflittuali, in separazione o divorzio, che hanno già intrapreso un cammino di denunce e ricorsi in Tribunale, contendendosi i figli e causando loro gravi problematiche.
In questi casi ritengo ancora valida e attuale la metodologia messa appunto negli anni '80, a seguito di una ricerca impostata nel servizio pubblico2 con il mio gruppo di lavoro. Si tratta di un intervento che ho chiamato: "Intervento per il cambiamento" (Mastropaolo et al., 1985); (Mastropaolo L., 1989).
Nel momento in cui il giudice mi chiede una consulenza o una perizia tecnica, lavoro per trasformare un invio obbligato (l'incarico di diagnosi) in un percorso di cambiamento delle relazioni familiari e di superamento dei conflitti nonostante i vincoli iniziali dell'invio coatto.
Ho posto l'attenzione sull'aspetto di obbligatorieta' dell'invio che determina un contesto di controllo e di giudizio, per cui gli ex coniugi si trovano "inviati" o piuttosto "obbligati" a fare una serie di colloqui con un tecnico non previsto ne' richiesto da loro, mentre si aspettavano una immediata risoluzione del caso da parte del Tribunale attraverso la definizione di "chi ha ragione e di chi ha torto".
In questa situazione non c'e' motivazione al trattamento o al superamento del conflitto, ma i due arrivano in CTU o al Servizio3 con la voglia di dimostrare la propria ragione e il torto dell'altro e quanto l'uno sia genitore inaffidabile rispetto all'altro. Il problema e' pertanto superare assieme alla famiglia, il garbuglio di un "invio coatto" per uscire dalla dicotomia controllo/terapia, ragione/torto e per introdurre una chiave di volta per un possibile cambiamento della famiglia.
A questo punto e' il tecnico che raccoglie il peso di un "invio coatto" e, ottenuto il consenso dal giudice e dagli avvocati, lo ridefinisce trasformandolo in una occasione per i genitori di recuperare il potere decisionale sui figli che attualmente hanno delegato al Giudice.
Attraverso una sorta di "patto con il diavolo" definisco con chiarezza il contesto di CTU (l'invio coatto, la mancanza di segreto professionale, la relazione che inviero' in Tribunale), e propongo alla famiglia di utilizzare il tempo e lo spazio dato dal giudice, invece che per una diagnosi, per affrontare assieme le problematiche e superare la relazione altamente conflittuale di ex coniugi, affinche' si riapproprino della propria genitorialità.
Tenendo in adeguata considerazione il tipo di contesto in cui si svolge l'intervento, definisco l'obbligo istituzionale ma, cerco di ottenere la loro collaborazione attraverso un "ingaggio iniziale" che, pur difficile e complesso, ha come obiettivo la ripresa della genitorialità.
Attraverso l'ingaggio quindi, introduciamo l'idea che le persone possono cambiare se accettano il progetto, allo stesso tempo accettano anche il rischio che, se falliscono, non possono che condividere l'intervento della legge, cioe' si ritorna all'intervento diagnostico. E' un'idea forte e potente che restituisce ai genitori un'immagine diversa da quella che in genere restituisce una CTU.
All'interno di questa concezione viene definitivamente superata la finalità diagnostica per fare spazio, attraverso la rielaborazione del conflitto, ad una ridefinizione e riqualificazione delle relazioni familiari.
Quindi, l'intervento per il cambiamento e' un sovvertimento del significato di perizia e una risposta alternativa all'invio obbligato del Tribunale e riformula di fatto insieme alla coppia la richiesta del giudice.
La relazione che invio come CTU al Giudice contiene la storia della famiglia secondo una lettura sistemica cioe' l'ipotesi sistemica; la descrizione del percorso fatto con l'andamento dei colloqui; gli accordi stilati dai genitori inseriti nella relazione e quindi la risposta al quesito.
L'attuazione della metodologia "Intervento per il cambiamento" e' stata resa possibile dalla collaborazione di alcuni giudici che di fatto sospendevano l'incalzante iter giuridico e restavano in attesa, dando a me e alla famiglia il tempo di lavorare, senza piu' entrare in merito al nostro lavoro o a quanto emergeva dai colloqui.
La relazione o la perizia presentata in Tribunale consiste nella formulazione dell'ipotesi sistemica sulle relazioni familiari, ricostruisce il percorso di trasformazione che i genitori hanno realizzato negli incontri e si conclude con l'accordo definito e scritto da loro.
Tale accordo viene presentato in sede giudiziaria dove trova un suo formale riconoscimento.
In tale prospettiva i genitori diventano "protagonisti" nella riappropriazione delle proprie capacità.
Nel caso in cui il percorso non si realizzi e la "tregua" non produca risultati ne' accordi, il tecnico dichiara la propria impossibilità e rimanda la decisione al giudice fornendo elementi di valutazione formulati in un'ottica sistemica.
In questo senso e' la costruzione, l'articolazione di un progetto comune ai tre sistemi, ma altamente differenziato e separato, che permette di sovvertire la logica di giudizio, che permette alla famiglia di utilizzare, nel confronto con le Istituzioni, la propria competenza al fine di raggiungere il suo nuovo equilibrio e la sua specifica nuova organizzazione.
I tre sistemi coinvolti possono interagire creando una modificazione della situazione in cui viene definita l'inutilità del giudizio. Il Tribunale ha individuato in questa una metodologia utile a trasformare un invio del Giudice della famiglia in crisi in forma obbligata, in una potenzialita' per la famiglia stessa di riprendere un dialogo costruttivo per superare disagi e conflitti in funzione di un ruolo genitoriale.

Intervento di costruzione di contesto
Si tratta di quelle situazioni complesse e ambigue, in cui si evidenzia un profondo malessere e una forte sofferenza, ma manca una domanda esplicita d'intervento, come nel caso delle famiglie multiproblematiche o migranti.
In queste situazioni c'e' spesso una rilevante implicazione di reti professionali e agenzie per cui l'unica possibilità che ci resta e' costruire un contesto che renda poi attuabili i diversi interventi.
Innanzi tutto uso spesso lo strumento di rompere il contesto ormai pregiudicato.
In queste situazioni c'e' sempre una rete che fa da sostegno alle parti; per ristrutturarla vanno decostruite le connessioni e ricostruiti nuovi punti nodali.
Disinnesco il meccanismo del macrocontesto prima di arrivare a parlare con le parti in causa, per recuperare il rapporto tra utenti e servizi su nuovi presupposti, ad esempio introducendo un mediatore culturale che mi permette una comprensione non solo del linguaggio, ma anche dei sentimenti e della cultura diversa.
Il lavoro di rete, riunire tutte le persone coinvolte (utenti, avvocati, servizi, associazioni e giudici) permette di ridefinire la relazione. Uscire dai giochi e dalle alleanze attribuite, introdurre trasparenza e chiarezza, mettere le carte in tavola apre uno spazio per poi effettuare gli interventi.

Una nuova forma di invio costruita sul consenso: anche il Giudice puo' diventare un inviante alla Mediazione
L'analisi dei contesti Tribunale-Servizi, la costruzione dell'intervento per il cambiamento, la definizione di questa specifica metodologia, ha voluto dire una piu' stretta comunicazione e collaborazione tra la Scuola Genovese e alcuni giudici in Liguria.
La collaborazione tra Scuola Genovese e Tribunali4 ha portato all'utilizzo di due percorsi in caso di separazione giudiziale: nel primo il giudice incarica una CTU ponendo un quesito classico, ma con la richiesta implicita di tentare un "intervento per il cambiamento".
Nel secondo percorso si e' costruita una nuova forma d'invio a mediazione: il Giudice puo' consigliare e suggerire un percorso attivando una richiesta volontaria dei genitori, affinche' insieme al mediatore, superando il conflitto, essi possano elaborare una proposta di accordo sulla gestione dei figli da presentare per l'omologa.
In questo caso il giudice sospende la procedura avviata per verificare in un tempo successivo se tale percorso ha avuto esito positivo. Tale intervento e' coperto dal segreto professionale.
In queste situazioni, in cui e' il giudice che in presidenziale si dichiara disponibile ad interrompere l'iter e consiglia un intervento di mediazione, si entra nell'area della mediazione con costruzione di consenso.
E' certo che la motivazione ad iniziare un percorso di mediazione e' abbozzata, ci possono essere dubbi su quale percorso intraprendere o motivazioni contrastanti a iniziare la mediazione, quindi la richiesta esplicita e la richiesta implicita non coincidono. Allora e' fondamentale fare un lavoro di premediazione per valutare la mediabilità sulle aspettative e sulle richieste.
Valutare la mediabilità, vuol dire anche costruire un contesto di adesione al percorso.
In questo senso, anche in un primo colloquio, attraverso la costruzione di un consenso reale o nell'individuazione di un obiettivo comune, si inizia già da subito a lavorare su un cambiamento di premesse e attribuzione di nuovi significati.
L'obiettivo e' sempre lo stesso, ma la costruzione del contesto che si struttura intorno al problema definisce interventi differenti con caratteristiche proprie.

Lavoro sul conflitto nei diversi interventi
Dal mio punto di vista il superamento del conflitto rappresenta il fulcro di tutti e tre gli interventi, qualsiasi siano i sistemi implicati.
In genere i contendenti arrivano offuscati da rabbia, rancori e rivendicazioni che determinano un alto livello di conflittualità che si focalizza sulla conclusione della storia relazionale.
Non si ascoltano. L'interruzione del progetto comune provoca sofferenza.
Quando c'e' un conflitto ogni parte autoconferma nella propria testa una storia che giustifica e rinforza la propria posizione, una storia dove l'altro e' irrimediabilmente colpevole; una storia che conferma se stesso nelle proprie emozioni e nelle proprie ragioni: "Il malvagio e' l'altro".
Le narrazioni individuali invadono e annullano l'area del vissuto comune.
Solo se cambiano le premesse possono cambiare i comportamenti.
Il cambiamento delle premesse avviene se si esce dal gioco delle responsabilità attribuite all'altro e che alimentano il conflitto e negano la possibilità di una relazione futura.
Il passaggio dal conflitto all'accordo passa attraverso una revisione dei motivi della crisi fuori della logica ragione-torto, delle ragioni e dei sentimenti propri e dell'altro.
Solo cosi' si puo' arrivare ad una riformulazione della storia della relazione ed e' sulla costruzione della 3° storia che centro il mio intervento.
Nella mediazione e nell'intervento per il cambiamento si tratta di toccare, entrare nella storia quel tanto che basta per cambiare le premesse che stanno bloccando la relazione, per costruirne una piu' funzionale centrata sull'obiettivo: superare la conflittualità della coppia che si separa e' creare uno spazio di relazione genitoriale per i suoi figli.
In questi due interventi la mia metodologia e' quella di "Manejar el conflicto" (come dicono i miei allievi spagnoli) che non e' "trabajar", lavorare in maniera approfondita, ma e' trattarlo in modo circoscritto e finalizzato a ripercorrere la loro storia quel tanto che e' sufficiente a trovare un comune significato.

Differenza tra mediazione e terapia
La differenza tra terapia e mediazione, quindi, sta nel fatto che la mediazione parte da un principio primo "e' d'uopo operare un cambiamento culturale, la storia lo richiede", invece la terapia non si chiede qual e' il cambiamento culturale che la gente deve fare, ne' tanto meno si pone il problema di quale soluzione e' opportuno che trovino le persone.
A differenza della mediazione in cui si lavora con un obiettivo specifico: la ridefinizione delle relazioni tra ex coniugi in vista della riassunzione della genitorialità, nella terapia invece si articola un campo di pensiero piu' libero tra famiglia e terapeuta, fuori da preconcetti di sorta, dove l'unica finalità e' "lo star bene della famiglia".
La soluzione individuata dalla famiglia e' originale e libera, non si situa in schemi predefiniti.
Inoltre in terapia si lavora sulla spinta di una patologia affinche' la famiglia trovi un'altra modalità di vita, rimettendo in discussione e cambiando modalità relazionali e individuali dei suoi membri.
Nel lavoro di mediazione, a differenza della terapia, ci sono dei "pregiudizi" di fondo:
  • "I bambini devono conservare 2 genitori".
  • "Il conflitto degli ex coniugi va superato affinche' possano decidere assieme sul figlio".
La relazione che si struttura e' ben diversa dalla terapia.
L'intervento di mediazione si pone la finalità di far superare il conflitto alla coppia che si divide affinche' i due, pur separati, diventino "uniti come genitori".
Nella modalità sistemica si lavora anche sulle premesse della coppia favorendo la coincidenza tra lo star bene individuale, di ex coppia e di genitori, accettando il fallimento delle premesse precedenti.
E' un modo per tutelare i figli, per trovare una soluzione etica che garantisca i diritti di tutti.
In sintesi in mediazione si lavora su una trasformazione, su una riorganizzazione della vita familiare che rientra percio' in un cambiamento del ciclo vitale della famiglia.

Conclusioni
La metodologia della Scuola Genovese ha caratteristiche che la distinguono da altre Scuole e alcuni temi sono argomento di dibattito tra le Scuole come: la presenza o meno dei figli in mediazione.
Al di là delle posizioni antagoniste rappresentate da scuole diverse di pensiero, al di là dell'essere favorevoli o contrari, ritengo che questa scelta dipenda dal significato che attribuiamo all'invitarli e come riempiamo il tempo e lo spazio di questo incontro con i figli.
Credo che la differenza fra scuole risalga a premesse epistemologiche differenti: per i mediatori che si definiscono contrari al far partecipare i figli agli incontri di mediazione (Marzotto C., Telleschi R., 1999), presumo che la premessa riguardi l'avere in mente "i bambini negli studi dei periti d'ufficio o di parte e negli studi degli avvocati", ad un atteggiamento inquisitorio o di chi affida decisioni ai figli, cosa per altro su cui tutti siamo contrari.
I sostenitori di questa posizione ritengono invece che "sia compito dei genitori riprendere su di se' la responsabilità e l'autorevolezza per riorganizzare la condivisione dell'educazione e della cura della propria prole".
Il significato che invece attribuiamo come Scuola Genovese all'invitare i figli parte dalla premessa che si puo' parlare con bambini e adolescenti in maniera trasparente se si costruisce un clima colloquiale e di rispetto dei loro modi e dei loro tempi. Non li facciamo partecipare al percorso di mediazione (riservato ai soli adulti), ma solo al primo incontro assieme ai genitori e solo quando i genitori sono consenzienti.
L'incontro con i figli ha per noi la finalità di permettere loro una libera espressione dei sentimenti, una verbalizzazione di cosa stanno provando per dare un senso a quello che sta succedendo in famiglia; argomento di cui molte volte non si parla in casa nonostante siano eclatanti i cambiamenti.
Consente alla coppia di percepire lo stato d'animo dei figli e al mediatore di liberarli dalla funzione di arbitro tra i genitori in conflitto, in un clima di grande rispetto per quello che vogliono dire.
Ritengo sia un'illusione credere che il solo fatto di non farli essere presenti nella stanza di mediazione li escluda automaticamente dall'espressione dei conflitti a casa.
Un'altra differenza riguarda il tipo di intervento: ci si domanda se l'intervento debba restare al livello di definizione di accordi senza andare a toccare il conflitto della coppia o se sia un passaggio obbligato rielaborare il conflitto e "andare a intaccare le premesse epistemologiche" della famiglia come dei corsisti.
Alcune Scuole ritengono utile accompagnare i genitori a negoziare gli accordi senza entrare nel conflitto, senza innescare dinamiche distruttive comunque dinamiche profonde che dovrebbero essere affrontate in contesti terapeutici.
Secondo la Scuola Genovese, finche' l'uno vede l'altro come figura negativa, finche' resta in piedi l'equazione "e' stato un cattivo compagno... non puo' che essere un cattivo genitore", non riesce a mantenere una forma di collaborazione per i figli e a sostenere gli accordi presi.
Di conseguenza per negoziare accordi effettivi ed efficaci occorre recuperare un'immagine positiva dell'altro come genitore e, percio', non si puo' fare a meno di attraversare il conflitto per cambiare le premesse che lo alimentano. Lo si affronta "con leggerezza... e, quel tanto che basta" affinche' i genitori si legittimino reciprocamente superando l'astio di una relazione di coppia conclusa e si percepiscano in un processo evolutivo, dinamico, che ha cambiato le forme delle interazioni familiari, ma non le ha dissolte.
Altra peculiarità della Scuola Genovese e' rappresentata dal prevedere percorsi differenziati (mediazione, intervento per il cambiamento ecc.) in funzione delle diverse modalità di conflitto che la coppia intraprende (richiesta volontaria o percorso giudiziario): utilizziamo una struttura liquida e fluida pur in un canovaccio teorico ben definito e di una cornice ampia, che si adatta e risponde differentemente a seconda delle necessità.
Al contrario alcune Scuole definiscono il loro ambito delimitandolo alla sola Mediazione, ritenendo che parlare di altre forme d'intervento generi confusione e equivalga ad inquinare l'efficacia della mediazione; ma questa differenza e' il frutto di una nostra particolare esperienza sul campo che non ci ha permesso di ignorare l'insieme delle richieste.
Anche rispetto alla formazione il dibattito si manifesta attraverso differenti posizioni.
Alcuni pensano che sia sufficiente insegnare agli allievi le tecniche, altri che sia necessario provocare anche un cambiamento di premesse in ogni allievo nel suo modo di pensare, di essere, di leggere le situazioni.
La Scuola Genovese si colloca nella seconda posizione e definisce con questa premessa il mediatore come un professionista che possegga un substratum culturale, un'epistemologia di riferimento che gli permetta di lavorare con la famiglia affinche' il processo di cambiamento emerga in loro stessi e negli interventi che fanno. Si tratta quindi di alimentare in maniera prioritaria un modo di pensare, di essere, lasciando che le tecniche vengano fuori come una conseguenza.
Il presupposto fondamentale e' avere rispetto per la responsabilità degli altri sulla propria vita; e' lavorare con le risorse personali, le capacità e singolarità. E' tenere presente cultura, contesti differenti, origini, costruzioni e modi sociali. E' ottenere che le persone coinvolte aumentino il numero delle alternative di scelta (V. Foerster) recuperando le proprie capacità, nel vivere la genitorialità, nella relazione mediatore-famiglia, come nella relazione docente-allievi.
Note
  1. Questa e' la definizione e gli obiettivi che abbiamo incluso nello statuto della Società Italiana di Mediazione Familiare S.I.Me.F. e del FORUM Europeo organismo internazionale che ha stabilito e garantisce la professionalità dei mediatori attraverso la definizione di criteri di formazione e del codice deontologico.
  2. A Genova dal 1976 al '96 ad opera di due Assessori illuminati (Mario Calbi e Maria Grazia Daniele) vennero unificate le competenze sanitarie e sociali, in Servizi territoriali, integrati, di prevenzione, diagnosi e terapia per bambini, adolescenti e per le loro famiglie dove diversi specialisti lavoravano assieme.
    In uno di questi servizi ho istituito dal '80 un Centro di Terapia Familiare specialistico, sovrazonale, formando un gruppo di operatori che dedicava una parte del tempo all'attività clinica di terapia familiare, alla supervisione dei casi e alla ricerca.
    La mia formazione mi ha dato l'opportunità di pormi quesiti su "come lavorare in contesti non strettamente terapeutici con un'ottica sistemica". Tra le diverse ricerche ne impostammo una sul lavoro con i Tribunali. In particolare, una prima ricerca sull'analisi dei contesti istituzionali che individuava dei doppi legami tra Tribunale e Servizio e una seconda ricerca che, attraverso la rilettura sistemica in situazioni di consulenza al Tribunale, formalizzava una nuova metodologia che ho chiamato "intervento per il cambiamento".
  3. Pur avendo ben chiare le differenze sui criteri normativi che regolano la Consulenza Tecnica d'Ufficio e l'incarico a un Servizio a seguito di un provvedimento del Giudice, tuttavia le diverse procedure sono state qui accomunate in quanto il risultato da noi perseguito e' lo stesso (la riappropriazione della genitorialità).
  4. All'inizio, specialmente con il tribunale Minori, abbiamo dato spazio a una reciproca conoscenza e comprensione delle necessità, obblighi, possibilità e risorse dei due sistemi Tribunale-Servizio, garantendo l'autonomia delle competenze, il rispetto delle diverse mission, tentando un'integrazione delle finalità.
    Cosi' nel '91 andammo a un congresso nazionale di sistemici a portare questa esperienza genovese con il presidente del Tribunale Minori.
    Intanto sempre nel '91 si definiva sempre piu' l'intervento di mediazione e fondavo con altre 4 scuole la SIMeF (Società Italiana di Mediazione Familiare). Nella realtà genovese assieme ad alcuni giudici e avvocati, che attribuivano importanza all'intervento, abbiamo organizzato convegni per illustrare gli strumenti di risoluzione di conflitto a seconda dei diversi contesti e favorire un confronto tra le diverse professionalità.
    Anche nel tribunale ordinario si e' nel tempo costruita un'integrazione che ha trovato una sua piu' chiara definizione, fino a rendere questa esperienza sempre piu' consistente, definita e significativa.
    Il dialogo tra sistema giudiziario e sistema psicologico terapeutico ha permesso di formalizzare gli interventi.
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