Dr. Alessio Zoppi
Psicologo, studente presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica Il Ruolo Terapeutico di Genova.
La Grande Bellezza: considerazioni sul caso di Jep GambardellaIntroduzioneIl cinema, così come l'arte in generale, da sempre desta l'attenzione di chi si occupa della sofferenza mentale. Come esemplificato dai lavori della scuola psicoanalitica genovese - mi riferisco, in particolare, ai saggi di Ballauri (2007) e Valdrè (2013, 2015) - il materiale cinematografico ben si presta ad essere utilizzato come sussidio nell'ambito della formazione clinica, sia in senso diagnostico, in modo tale da riflettere sui particolari quadri psicopatologici messi in evidenza dai personaggi, sia per effettuare disamine sul contesto macroscopico o sulle rappresentazioni sociali della psicologia. Freud stesso, oltre a ricorrere ampiamente alla letteratura per formulare le sue ipotesi teoriche (si veda, ad esempio, l'analisi della "Gradiva" di W. Jensen), invita a guardare al mondo dell'arte per oltrepassare quanto è comprensibile solo con la riflessione speculativa: nell'Introduzione alla psicoanalisi (1932, nuove lezioni), a proposito della sessualità femminile, egli concluderà il saggio con la sentenza "se volete saperne di più sulla femminilità, interrogate la vostra esperienza o rivolgetevi ai poeti"1. L'esperienza cinematografica ovviamente non consente una rappresentazione fedele della realtà2: tuttavia essa può essere utilizzata proficuamente nel momento in cui la narrazione si adatta al criterio di verosimiglianza ipotizzato da Bruner. Secondo l'autore, infatti, "diversamente dalle costruzioni generate da procedure logiche e scientifiche [...] le costruzioni narrative possono raggiungere solo la verosimiglianza. I racconti, dunque, sono una versione della realtà la cui accettabilità è governata dalla convenzione e dalla necessità narrativa anziché dalla verifica empirica e dalla correttezza logica" (Bruner, 1991). La Grande Bellezza è un film diretto da Paolo Sorrentino che ha visto la luce nel 2013. Vincitrice del premio Oscar come miglior film straniero, la pellicola - che sintetizza mirabilmente un'ottima sceneggiatura con la poeticità della fotografia e la capacità evocativa della colonna sonora - narra l'odissea del giornalista Jep Gambardella nel mondo patinato della mondanità romana. Nella presente trattazione cercherò di enucleare le dimensioni di fondo messe in evidenza dall'opera, sia descrivendo il mal-essere (Kaes, 2012) che permea la società così come viene icasticamente descritta da Paolo Sorrentino, sia approfondendo alcune dimensioni cliniche del personaggio di Jep Gambardella. Una psicopatologia della società? Una accurata comprensione dei fenomeni clinici non può prescindere da una riflessione preliminare sul contesto particolare nel quale questi ultimi si installano. Riflessione, a mio avviso, elicitata prepotentemente dalla scissione con cui il regista mette in luce il vuoto esistenziale - un vuoto della soggettività - che affligge l'entourage di Jep Gambardella, ovverosia la singolare attenzione estetica che il regista riserva alla fotografia e alla colonna sonora (e che nel film si riflette nello sfarzo dei baccanali così come nell'eleganza formale di Jep Gambardella, non a caso vestito dal sarto Cattelani, "naturalmente il migliore") a cui fa da contraltare quel senso di noia asfissiante esacerbato dalle lunghe sequenze dove i partecipanti si sfiniscono tra danze, cocktails e trenini festanti che, non a caso, "non vanno da nessuna parte", proprio come i soggetti impegnativisi sembrano immersi in un immobilismo psichico di fondo3. Per descrivere una simile atmosfera occorre superare quanto Freud scriveva a proposito della cultura predominante nel secolo scorso: nel Disagio della civiltà (1929) egli, infatti, riteneva che all'origine della tensione fra l'individuo e la società risiedesse il conflitto tra le esigenze pulsionali del soggetto - motivate dal principio di piacere - e quelle della civiltà, volte piuttosto a favorire la cooperazione tra i membri della stessa. Secondo Recalcati (2010), il modello che sosteneva tale dialettica fra individuo e ambiente è stato ampiamente superato dal "discorso del capitalista", che ha condotto al contemporaneo paradigma "ipermoderno". L'autore sostiene che il suo funzionamento non è - al contrario del precedente - deputato all'integrazione del soggetto all'interno della sua comunità, quanto a trasformarlo in un "turboconsumatore": in questo senso, principio di piacere e principio di realtà vengono sussunti in un principio di prestazione che si declina specificamente in una prestazione di godimento4. Due sono le conseguenze principali: innanzitutto l'uomo ipermoderno viene descritto come privo di legami simbolici con il prossimo e quindi incapsulato nel suo narcisismo; secondariamente, ciò che esalta la vita psichica è adesso la ricerca della novità, pertanto "la soddisfazione risiede in ciò che non si possiede ancora: nel nuovo oggetto, nel nuovo partner, nella nuova sensazione" (Recalcati, 2014). In aggiunta a quanto appena scritto, Kaes (2012) sostiene che la perdita dei garanti metafisici5, metasociali e metapsichici così come va strutturandosi nella modernità sollecita quella che Bion definisce la "parte psicotica della personalità": ciò produrrebbe "sia [...] impregnazione cupa e melanconica che s'impossessa degli animi e dei corpi, dei legami intersoggettivi e delle strutture sociali, sia [...] cultura dell'eccesso maniacale e onnipotente". Jep Gambardella: la fatica del lutto Queste ultime argomentazioni assumono particolare rilevanza se relazionate ai primi fotogrammi in cui compare il protagonista Jep Gambardella. Se consideriamo queste scene come un ipotetico "biglietto da visita" (Borgogno, 1998) del suo stato mentale-affettivo, abbiamo la netta sensazione che egli sia visceralmente immerso in questa scissione: da una parte, infatti, partecipa vivacemente al lussuoso banchetto organizzato per il suo 65° compleanno; dall'altra - nel bel mezzo dello stesso - riflette sulla sua sensibilità malinconica, anche se a tratti un po' autocompiacente. Questa tensione costituirà, a mio avviso, il leitmotiv dell'intero film. Jep Gambardella intanto si divide fra la sua attività giornalistica, dove si occupa di critica artistica, e la frequentazione della nightlife romana, che spesso sfocia in relazioni estemporanee prive di una qualsiasi componente di affettività. La possibilità di un rapporto intimo e soddisfacente con il femminile sembra, infatti, preclusa al protagonista: questa difficoltà rimanda - a mio avviso - ad alcune considerazioni di Freud sulla problematicità nel coniugare desiderio sessuale e calore relazionale. In Sulla più comune degradazione della vita amorosa (1912), infatti, l'autore - occupandosi di problematiche relative all'impotenza psichica - attribuisce questa difficoltà "così frequente nella vita amorosa degli uomini civili ai due fattori che intervengono nell'autentica impotenza psichica: l'intensa fissazione incestuosa dell'infanzia e la frustrazione reale nell'adolescenza" (corsivo mio). Sebbene Freud in questo caso si riferisca precipuamente all'impossibilità di scaricare la propria pulsione libidica durante la giovinezza, vedremo che nell'adolescenza di Gambardella si è verificata proprio una sorta di frustrazione reale, che non esiterei a definire traumatica. Accanto alla problematica con il femminile, veniamo a conoscenza di una sorta di "blocco dello scrittore" che attanaglia il protagonista, un tempo prolifico autore dell'incensatissimo romanzo d'esordio "L'apparato umano". Benché questo sintomo possa prestarsi ad una pletora di interpretazioni, é possibile considerarlo - in linea con le argomentazioni precedenti - come il precipitato di una più generica difficoltà a entrare in contatto con quel "vero sé" in grado di sperimentare emozioni autentiche e, altresì, come l'incapacità di donare qualcosa di genuinamente proprio al prossimo. Nel prosieguo della pellicola veniamo a conoscenza della morte di Elisa, una donna che aveva avuto una storia d'amore con Jep durante la sua adolescenza e di cui egli non aveva più sentito parlare. Questo frangente rappresenta uno spartiacque nella vita psichica del protagonista, in quanto l'esperienza del lutto lo costringe a fare i conti con una serie di vissuti dolorosi - apparentemente denegati o scissi - connessi con Elisa stessa, forse l'unica donna che egli abbia amato e che l'ha abbandonato traumaticamente, lasciandolo senza addurre alcuna spiegazione. La mia ipotesi è che i suoi meccanismi di difesa, volti ad esautorare la possibilità di instaurare una relazione soddisfacente con una donna e a espellere eventuali sensazioni negative, si siano strutturati in seguito a quell'esperienza adolescenziale. La fantasia di onnipotenza con la quale Jep controlla la sua vita psichica è ben testimoniata - a parer mio - dall'ammissione del suo desiderio di controllare le feste cui partecipava, riservandosi il diritto di farle fallire. Affinché questo abbandono doloroso possa dispiegare tutta la sua traumaticità occorre però postulare una struttura di base della personalità del protagonista già piuttosto precaria o indebolita durante la fanciullezza. In questo senso, usufruendo del materiale filmico come se fosse quello di un sogno, si può utilizzare una scena - quella in cui ad una bambina viene negata la possibilità di giocare con i suoi amici e costretta ad esibirsi in una performance artistica per allietare gli ospiti - come rappresentante di un aspetto del passato di Jep Gambardella. Egli sarebbe stato, di conseguenza, uno spoilt child, ovvero un "bambino in cui non soltanto vengono poste proiettivamente delle esigenze, dei bisogni, dei desideri che non sono suoi, ma da cui vengono estratte aree di espressività e di esistenza" (Borgogno, 1999). Proseguendo con questa rêverie, potremmo ipotizzare che Gambardella sia stato utilizzato - in modo simile alla bimba - come una protesi narcisistica dei genitori, motivo per il quale la ferita infertagli da Elisa - innestata su questo "difetto di base" (Balint, 1968) - durante l'adolescenza avrebbe generato il suo specifico assetto mentale. Il lutto offre quindi al protagonista l'opportunità di rimettersi in contatto con sentimenti dolorosi e sgradevoli, che nessun "trucco" (o meccanismo di difesa) può permettersi di dissolvere senza conseguenze per la propria vita mentale6. In seguito a quest'evento, infatti, pur protraendosi nella frequentazione di noiosi festini7, prima intraprende una relazione significativa con Ramona (ex prostituta) e poi esplode in lacrime durante il funerale del figlio di un'amica, funerale che era stato preparato dal protagonista alla stregua di una performance da mettere in scena, con la dovuta miscela di indifferenza, ipocrisia e desiderio di farsi notare. Il processo di trasformazione di Jep Gambardella prosegue - in seguito ad altri non meno importanti lutti, come quello di Ramona e il progressivo allontanamento degli amici - concludendosi nell'incontro terapeutico con un'anziana missionaria in visita a Roma. Quest'ultima, che ha dedicato l'intera esistenza al servizio del prossimo, ha una grande influenza sul protagonista: le bastano poche parole, "le radici sono importanti", per aiutare Jep nel cammino verso un "nuovo inizio" (Balint, 1968). Egli, infatti, dopo quest'incontro decide di tornare in quel luogo dove tutto ebbe inizio (le radici), ovvero il mare in cui incontrò per la prima volta Elisa8, finalmente pronto per scrivere un nuovo romanzo e aprirsi, metaforicamente, di nuovo all'incontro con l'Altro. A tal proposito, Ambrosiano e Gaburri (2013), hanno infatti localizzato nel meccanismo di sublimazione il trait d'union fra l'individuo (immunitas) e la società (communitas). Conclusioni Spero di aver restituito con questa dissertazione una panoramica del protagonista Jep Gambardella e del suo percorso nella narrazione, senza alcuna pretesa di omogeneità o di saturazione dei molti contenuti possibili. Il film, infatti, alla stregua di un sogno, è in grado di produrre molteplici significati a seconda della particolare coppia analitica coinvolta, dove per coppia analitica intendo regista e spettatore. Note
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