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Intervista al Prof. Guido Pesci: Pedagogia clinica, Psicomotricità funzionale e DSA
di Redazione


Guido Pesci
Psicologo, Psicoterapeuta, Pedagogista clinico, Psicomotricista funzionale, Giornalista.
Direttore Scientifico della "Scuola Internazionale di Pedagogia Clinica" e padre fondatore della Pedagogia clinica.
Direttore Scientifico della "Scuola di Psicomotricita' Funzionale Jean Le Boulch".
Presidente Nazionale dell'Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici (ANPEC).
Gia' Docente di Pedagogia Speciale presso l'Universita' degli Studi di Siena.
Autore di numerosi volumi e articoli apparsi in varie riviste scientifiche.
Dagli anni '70 si occupa di pratica clinica e formazione.

Prof. Pesci ci puo' spiegare come e' nata la Pedagogia clinica e in che modo si lega ai concetti di "aiuto alla persona" e di "globalita' della persona"?
    Quando nel 1974 proposi di sostituire all'appellativo di ortopedagogista quello di Pedagogista clinico non era solo dovuto alla necessita' di abolire un termine obsoleto, ma con esso anche una professione, la professione di ortopedagogista, ormai troppo infarcita di principi sanitarizzanti sostanziati da interventi settoriali rivolti al malato, al paziente, al disturbo, al caso, piu' all'"orto" che alla pedagogia.
    Il fermento culturale e formativo di quegli anni produsse in una pluralita' di situazioni grandi stimoli al cambiamento: non ci dimentichiamo le lotte condotte per l'inserimento degli "handicappati" nelle scuole comuni, il superamento degli istituti segreganti da cui non si sottrassero i manicomi, le istituzioni delle scuole per l'infanzia e degli asili nido gestiti dai comuni in alternativa all'Opera Nazionale Maternita' e Infanzia (ONMI).
    Un momento di grande fervore e di impegno sociale a cui non resse neppure l'ortopedagogia e l'ortopedagogista che lasciarono il posto alla Pedagogia clinica e alla professione di Pedagogista clinico.
    Ed e' nell'aggettivo "clinico" che si puo' ritrovare il concetto di "aiuto alla persona", vocabolo recuperato dall'impianto epistemologico originario della pratica clinica che non voleva interventi esclusivamente rivolti alla cura specifica della malattia fisica o psichica, tesi a lenirne i difetti, adattati alle carenze del soggetto e al deficit e affrontati basandosi su criteri terapeutici o di ortopedia psichica.
    La pratica pedagogico clinica rivolta in "aiuto alla persona", non relegata alle manifestazioni morbose della malattia, a interventi di natura parziale, siano essi specifici, eziologici o sintomatici, ha il compito di eliminare ogni riduzionismo alla settorialita' per rispondere al vasto panorama dei bisogni della persona nella sua globalita'.
    Il concetto di "globalita' della persona", e' promosso dal recupero del significato profondo espresso dall'etimologia della parola "clinica", e passa attraverso il ripristino della testimonianza vivente dell'intrinseca unicita' dell'uomo, soggetto e oggetto di conoscenza.

Ci puo' meglio indicare di cosa si occupa il Pedagogista clinico?
    Per rispondere alla sua domanda su "cosa fa il Pedagogista clinico", posso dirle che, evitato di essere la brutta copia di una qualunque altra categoria professionale, egli e' indirizzato al vasto panorama dei bisogni della persona di ogni eta' con l'intento di soddisfarli con modalita' educative indispensabili al rafforzamento delle capacita' individuali e al progresso culturale e sociale.
    Sostenuto dal bisogno della societa' di modificare nella sostanza ogni processo cristallizzato in un clima di anomia e di disuguaglianza, egli e' impegnato a conoscere della persona ogni Potenzialita', Abilita' e Disponibilita' (PAD) per intervenire con flessibilita' e con un programma a spirale, orientato dall'individualita' maturativa, dalla soggettivita' e dal particolare processo di evoluzione di ciascun soggetto, dando all'educazione un significato autentico.

Per quanto riguarda la Psicomotricita' funzionale, ci potrebbe spiegare meglio l'aggettivo funzionale e qual e' il modus operandi di uno Psicomotricista che segue, appunto, un'ottica "funzionale"?
    Le Boulch, guidato dal principio della pluridisciplinarita' e dei dati scientifici acquisiti dalle Scienze umane e dalla Biologia e dalle Neuroscienze, riconosce il prestigio delle due correnti "funzionali" di Piaget in Europa e di Noam Chomsky negli Stati Uniti, oltre alla corrente funzionalista americana di John Dewey e alla concezione funzionale di Claparède che mette l'accento sull'importanza di partire dai bisogni per sollecitare l'attivita' e di tener conto dello sforzo che il soggetto compie per soddisfare le proprie coesistenti necessita' biologiche e sociali.
    Le Boulch, a partire da questi autori, sostiene che un atto normale deve essere sempre funzionale, cioe' deve avere come caratteristica quella di realizzare i fini, essere capace di far sviluppare il bisogno che lo ha fatto nascere.
    La concezione di Le Boulch e' strutturalista: il movimento non e' separato dall'organismo, e il concetto di "migliorare il gesto" che lascia il posto a "migliorare la funzione", chiede di comprendere il meccanismo che conduce il movimento a manifestarsi, capire le funzioni che intervengono nella condotta globale, come si organizzano ed entrano in correlazione tra loro.
    Per quanto attiene il modus operandi dello Psicomotricista funzionale possiamo sostenere che egli interviene sull'interfunzionalita' e l'interrelazione delle diverse manifestazioni; tutto cio' impone una complessa analisi funzionale, rivolta non solo all'analisi del movimento, all'analisi psicologica e biologica della condotta, ma anche alla fitta rete delle funzioni biologiche, neurologiche e psico-affettive, tre piani su cui agire che corrispondono ai tre quadri, quello biologico, neurologico e funzionale.
    E' a questi quadri che si collega una cascata di conoscenze e di emergenze a cui non sfugge che ogni individuo ha necessita' di un percorso personale.
    Lo Psicomotricista funzionale e' un professionista opportunamente formato - presso la Scuola di Psicomotricita' funzionale Jean Le Boulch, l'unica da lui riconosciuta - che attua interventi educativi in aiuto a soggetti di ogni eta', idonei ai bisogni, alle motivazioni e alle loro reali esigenze; e' un professionista che intende soddisfare i bisogni dell'individuo di ogni eta' attivando motivazione e intenzionalita', affidato a un movimento che ritiene efficace per valorizzare al meglio le risorse funzionali, adatto a quella determinata persona in quel particolare momento.

Per quanto riguarda la Psicologia e la Psicoterapia, nella pratica clinica quali sente come i suoi autori di riferimento?
    Superati i settant'anni, dire a quali autori faccio piu' riferimento rispetto ad altri, e' sicuramente arduo poiche' l'aggiornamento, l'approfondimento costante, la frequenza di nuove e diverse formazioni, che si impongono a un professionista, il numero degli autori di grande prestigio e tali da lasciare orientamenti tangibili sono moltissimi, tanti che una lista sarebbe tediosa.
    Di sicuro essendo stato coinvolto in contesti di prevenzione, scuole e asili nido, non mi e' mancato l'obbligo di approfondire John Bowlby e René Spitz poi rivisti e reinterpretati con gli stimoli pervenuti da altri autori.
    La riabilitazione psicologica mi ha visto seguire inoltre l'orientamento vygotskijano, del quale ho prefazionato e curato il volume Fondamenti di Difettologia.
    Autori tenuti presenti per fronteggiare le disabilita' sono stati pure Mathiot, Leopold e Camusat, mentre ad orientamento psico-pedagogico Ernst Meumann, Julian de Ajuriaguerra, Henri Wallon, Eduard Claparède e Jean Le Boulch.
    Per le terapie centrate sul corpo, provvidenziali: Wilhelm Reich, Alexander, Lowen, Ola Raknes, e pure Bertherat, Mézières, Dropsy ecc.
    All'obbligo di approfondire tutto questo l'ovvio riferimento a Lurija, Leontjev, Freud, Jung, Murray, Leuner, Ammon e tantissimi altri.

Ultimamente si parla spesso di DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento), sappiamo che lei si occupa di dislessia, cosa pensa dell'attuale attenzione su queste problematiche? Inoltre, poiche' i mass media sostengono che il fenomeno sia in aumento, le chiedo, provocatoriamente, si puo' parlare di epidemia?
    In realta' io mi sono interessato al "disturbo della lettura", cosi' definito dai criteri diagnostici del DSM IV e dell'ICD 10, anche se per il mio orientamento psicologico e pedagogico clinico preferisco definirla "difficolta'" ed evitare "turba" che e' conforme a un criterio sanitario.
    La definizione di "dislessia" purtroppo ci viene imposta dalla legge 170, in vigore dal novembre del 2010, una legge che non ha recepito le classificazioni internazionali e ha sancito l'attribuire ai nostri bambini in difficolta' negli apprendimenti il prefisso "dis-" collocandoli in una nosografia classificatoria degli "affetti da", relegati a un criterio sanitarizzante e associati al sordo conformismo dell'opinione comune che siano dei quasi malati.
    Vediamo spesso che Piero, Giovanna e Paolo prendono il nome di "dislessico", un perseverante esempio di empieta' contro gli alunni in difficolta', definiti nel tempo cretini, svogliati, poi ritardati, quindi handicappati ora dislessici.
    Questo non avrei voluto ne' mai pensato che potesse accadere.
    Se lei mi chiede se le persone con DSA sono in aumento, ebbene si'! E non e' affatto provocatorio parlare di epidemia, anzi e' un termine assai appropriato, poiche' assistiamo a una manifestazione morbosa di malattia a carattere diffusivo.
    L'endemia e' in proporzione dell'impegno nella caccia al deficit, condotta con diagnosi effettuate perfino prima che il bambino possa avere affinate le percezioni cinestetiche e la loro associazione con i dati visivi e sviluppata la maturazione nervosa, tonico-emozionale e affettiva.
    Un chiaro segnale dell'obnubilazione del ricordo di una storia recente, quando con l'aiuto dei test, anche gli specialisti di ieri, usando coefficienti e gradi per misurare quantitativamente le possibilita' degli scolari, ottennero il risultato di un massiccio incremento di classi differenziali che iniziarono a riempirsi fino ad affollarsi di bambini che per diversi motivi non avevano superato quelle prove.
    Un prodotto di una politica, peraltro trasversale, che non fa altro che rinnovare la prassi del dépistage che ritenevamo superata gia' negli anni Settanta, quando un bambino che non riusciva a tener il passo degli altri e si dimostrava improduttivo in una scuola concepita in senso produttivistico, si riteneva diverso.
    A me, Psicologo e Pedagogista vygotskijano, non sfuggono i suoi principi: chi opera dei dépistage in base a sistemi di classificazione dei disordini secondo particolari "rubriche" - dice il Vygotskij - non puo' che procedere con interventi patologico-terapeutici adattati all'ortopedia psichica e alla cultura sensoriale, indirizzati solo al separatismo e al silenzio grottesco fino a perdere di vista il confine tra l'ammaestramento e la vera educazione, tra l'educazione e l'approccio zoologico del bambino.
    Il banchino differenziale su cui sostano i "dislessici" con davanti un monitor e il parlare per loro di interventi di riabilitazione ha la sapidita' che i criteri seguiti sono connotabili come anti-pedagogia e non sono da accogliere tra i principi della Psicologia.

Prof. Pesci, Lei essendo Psicologo, Pedagogista clinico e Psicomotricista funzionale, vorrebbe dare un suggerimento ai giovani che vogliono intraprendere queste strade professionali?
    Il giovane che si propone di svolgere una professione di aiuto deve prepararsi ad agire a favore di quanti vivono una vita di disagio e di sofferenza, accompagnato dal fervore e il desiderio di assumere conoscenze e abilita' che gli diano sicurezza e fiducia nel progredire in un campo professionale e specialistico.
    Deve dunque ampliare il suo bagaglio teorico-pratico, assumere la validita' nell'operare e costruirsi, con formazioni e aggiornamenti post-universitari, come professionista capace e pronto a rispondere alle diverse esigenze dell'altro, contribuire con cio' ad assicurare credibilita' alla rispettiva categoria professionale.
    Ogni professione, sia essa di Psicologo, di Pedagogista clinico o di Psicomotricista funzionale, ha l'obbligo di far giungere chiaramente all'opinione pubblica quale tipo di formazione le conferisce abilita' e perizia nel condurre interventi di aiuto, dimostrare un distintivo sapere e saper fare, documentare il corredo dell'identita' e fissare cosi' riconoscimenti positivi che rendono prestigio alla propria categoria.